Jan 28, 2007

Diari balcanici - Viaggio nei balcani febbraio/marzo 2006

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Eccomi qui, appena finito di attraversare il primo di molti dei pezzetti ex iugoslavi.
Sto per lasciare ljubjana in direzione rijeka (fiume), sulle coste istriane tanto affollate di turisti in estate, da dove poi conto di arrivare a dubrovnik entro il 2 febbraio, data della festa del santo patrono locale e di tutti i festeggiamenti collegati.
Per quel che riguarda questa repubblichetta alpina dove ho svernato per un fine settimana allungato, sono stato accolto a casa della ragazza slovena di un amico francese che vive qui, e ho potuto provare l ospitalita balcanica di qui, fatta di innumerevoli porzioni di specialita locali, altrettanto innumerevoli bottiglie di vino sturate (particloarmente buono il refoshk, che altro non e che il nostro refosco friulano) e bicchieri di distillati riempiti (Devi davvero provare ancora questo, e fatto con i mirtilli, ma no che non e la stessa osa di quello di prima, vedrai... etc).
Il tempo non e granche clemente (cosi come questa dannata tastiera slovena, senza accenti...), ma tutto sommato e prevedibile se uno decide di venire da questo lato dell adriatico a febbraio.
ieri abbiamo seguito da una cittadina del lungomare (portorose, piccola dubrovnik slovena, ovviamente costruita dai veneziani) le gesta di Baghratis, il tennista cipriota in finale all australian open, insieme a 2 ragazzi greci che continuavano a chiamarlo the greek guy e reclamarne la paternita: maledetto sciovinismo ellenico.
Ci siamo pero potuti consolare del risultato (3/1 per federer) con plurime tavolette di incredibilmente buono cioccolato nero al sale, specialita locale, e un abbuffata di spiedini di seppie farcite e simil crepes alle noci, orgoglio della cucina locale.
Per quel che riguarda la gente e la citta, basta salire sul treno che dal friuli raggiunge ljubjana per rendersi conto che con gli stereotipi slavi gli sloveni hanno ben poco a che fare, e che sono decisamente piu una versione simpatica degli austriaci che serbi o croati. E come in Austria non si trova una singola carta per terra, le macchine non accelerano quando cerchi di attraversare etc etc: ho come il sospetto che queste cose mi mancheranno andando verso sud.
Giuse
 
2
La prima impressione per chi raggiunge dubrovnik e vede i tetti rossi delle case bianche accavallate le une alle altre entro le mura, magari (tempo permettendo, come fortunatamente e' stato per me) anche il meraviglioso adriatico e le isole ricoperte di verde, il tutto illuminato dal sole, e' quasi sicuramente di grande meraviglia.
Viene voglia di fermarsi un attimo a contemplarne l'incredibile bellezza dall'alto, prima di lanciarsi all'esplorazione.
Quello che poi si e' fatto strada in me e' un pensiero diverso, che nasce forse da tutto quello che ho letto negli ultimi tempi sulla guerra di qui.
Non riesco a non pensare che l'ottobre 91, data di inizio dei bombardamenti e dell'assedio di questa incredibile citta', si sia rotto qualcosa che ha portato a galla il lato piu' oscuro dell'animo umano, e lo ha scatenatocontro tutto cio' che rappresenta la bellezza creata nei secoli dalla civilta'.
Cosi' a Dubrovnik, cosi' anche a Mostar, Sarajevo, Vukovar...
Ogni fronte ha avuto le sue distruzioni, volontarie, tese solo all'annientamento.
Non sono stati ne' i serbi, ne' tantomeno i bosniaci o i croati i colpevoli di quel che e' successo, tanto e' vero che a sarajevo, citta' multietnica come in europa non ce ne sono, simbolo di tolleranza per piu' di 600 anni, sono morte sotto le bombe persone di ogni etnia. La vera colpa va cercata nella barbarie a cui l'essere umano puo' arrivare per sete di potere, per vendetta, o per quante altre stupide ragioni. E va cercata purtroppo anche tra di noi, nell' "Europa bene" che non ha voluto capire che non era una guerra civile da lasciar sbollire, o della quale disinteressarsi perche' "tanto quelli la sono tutti uguali", ma un brutale assalto alla civilta' da parte di gruppi di criminali, che si chiamassero Milosevic, Gotovina, Arkan o in qualsiasi altro modo.
 
Prima di arrivare qui mi sono fermato a Rijeka, la Fiume di D'Annunzio, senza riuscire per altro a capire l'ossessione del poeta per questa citta', tanto piu' che la parte piu' bella e' quella al di la' del fiume, con il bellissimo castello di Terzatto, parte sempre rimasta in territorio yugoslavo.
In compenso ho scovato una bettola d'angiporto come quelli della mia Genova, dove mi sono ingozzato di carne alla griglia, mi sono state offerte birre a non finire, e ho cantato canzoni croate accompagante dalla fisarmonica di uno degli avventori, ovviamente senza conoscere ne' le parole ne tantomeno capire nulla, visto che il croato non lo parlo.
 
Giuse
 
3
Fantastico.
Nient'altro per descrivere la due giorni di festa qui a dubrovnik: ieri messa e liberazione delle colombe di fronte alla chiesa, oggi sfilata di costumi tradizionali di tutti i villaggi del vicinato piu' qualcuno piu' lontano, tipo bosniaci e montenegrini, giusto a far notare che dopotutto davanti a Dio non sono poi cosi' nemici, seguita da messa all'aperto con folla oceanica (alla quale ho assistito dal tetto della catterdrale, facendomi passare per stampa internazionale ;-) ), ed infine processione delle reliquie di san Biagio, patrono di qui, attraverso le vie del borgo. Il tutto benedetto da un fantastico sole primaverile e dalla quasi totale mancanza di turisti stranieri.
Adesso si va verso l'attesa Bosnia, in particolare Mostar, da dove visitero' anche Medjugorie e il santuario nella roccia piu' casa dei dervisci a Blagaj.
Per ora e' tutto, a presto per le foto.
 
Giuse
 
4
Oggi Mostar e' spazzata dalla bura.
La temperatura e' scesa quasi di 10 gradi, anche se il sole continua a splendere sulla citta'. Ieri ho passato le ultime ore di luce della giornata a bere te rosso turco sulle rive di una sorgente che sgorga dalle rocciose pareti dell'Herzegovina, accanto alla quale c'e' una casa di dervisci, insieme al muezzin della moschea piu' vecchia della citta'. 
Quando uno parla di muezzin e' facile immaginarsi un vecchio arabo con la barba, ma nel mio caso si tratta in effetti di un giovane bosniaco, seppur con la barba. Abbiamo parlato a lungo di islam, della portata del messaggio di maometto, della stupidita' dell'integralismo e di come la sua posizione sia molto popolare con le ragazze. Ha 25 anni, parla perfettamente tedesco e molto bene inglese, oltre ovviamente all'arabo e al turco che ha imparato alla medresa; anche lui ha viaggiato molto, anche se non sempre di sua scelta, come quando e' emigrato in germania dopo la guerra che ha distrutto la citta'. Forse avrebbe fatto dell' altro nella vita invece che continuare la tradizione di famiglia di imam, sempre nella stessa moschea, ma aveva 12 anni quando ha visto suo padre venire ucciso da un croato, perche' viveva dal lato sbagliato del fiume. 

Un viaggio e' una collezione di esperienze, e anche una serie di momenti che rimangono scolpiti nella memoria: uno di questi mi e' capitato ieri pomeriggio, mentre scendevo una delle scalinate che dalla citta' vecchia vanno verso le colline, circondata da edifici diroccati. All'improvviso, nel silenzio di una fredda domenica pomeriggio, e' iniziato il richiamo alla preghiera da una delle moschee, al quale hanno presto risposto le altre, con toni di canto piu' bassi o piu' acuti a seconda della distanza. In lontananza, il campanile della cattedrale cattolica dall'altro lato della citta' batteva i rintocchi dell'ora. 

L'arrivo a Medjugorie e' una starna esperienza: uno si immagina che sia un paese molto legato al famoso pellegrinaggio verso la statua della madonna che appari' a 6 ragazzi di qui; quello che non si immagina sono le file ininterrotte di negozi di paccottiglia per credenti che intasano l'intero paese, lasciando a malapena spazio per un paio di fruttivendoli e qualche ristorante per turisti. 
La salita pero' ripaga della prima delusione, e ti porta in cima ad un colle pietroso, punteggiato da bassi alberi mediterranei, in un paesaggio che ricorda quello della grecia continentale: credo che una persona di fede che si reca qui portandoci i propri dolori o problemi possa veramente trovare conforto per il proprio spirito da un posto del genere, al di la' dei miracoli veri o presunti che vi accadono. E' triste pensare come questo sia potuto diventare una legittimazione per la mercificazione collegata, e ancor peggio sia stato l'alibi per giustificare in nome di una diversita' etnica e religiosa atti barbari e brutali come quelli della guerra di qui. 
Triste anche pensare che nessuno con l'autorita' di dirlo ha mai pensato di far notare che la religione e la fede sono una cosa, la politica e la violenza un'altra, e che per esempio la croce eretta sull'altura che sovrasta la parte croata di Mostar, nello stesso punto dove era appostata la contraerea croata che in mancanza di bersagli in cielo causa no-fly zone e' stata puntata verso le case ed i civili della parte musulmana, forse non e' poi cosi' tanto un simbolo di pace. 
Stasera mi aspetta Sarajevo, forse la tappa che piu' aspettavo.
A voi invece ecco qualche foto: scusate se la qualita' non e' altissima, rimediero' al ritorno a farvele vedere meglio.
Giuse
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C'e' una lista di posti che hanno sempre stimolato la mia immaginazione, e dei quali basta il nome per farmi venire voglia di viaggiare: Samarcanda, San Pietroburgo, Pyongjang, Vladivostok, Alma Ata, Teheran, Santiago: il rischio e' sempre quello di rimanerne delusi quando finalmente li si raggiunge. Sarajevo era parte di questa lista, e sono felice di poter dire che ha sodisfattole mie aspettative.
In effetti l'intera Bosnia e'una nazione sorprendente, ricca di magnifici paesaggi, belle cittadine e gente amichevole. E' un crogiolo di culture ed etnie diverse, ma che mantiene una sua specifica identita' senza che nessuna di queste prevalga chiaramente sulle altre. E questo nonostante la Guerra e le tensioni che ancora si porta dietro.
Ascoltare il richiamo alla preghiera dal minareto di una moschea e contemporaneamente le campane di una chiesa che suonano poco lontano e' un'esperienza piuttosto forte ed unica, specialmente in un freddo e soleggiato mattino invernale, con quasi nessuono attorno ad eccezione delle sempre presenti vecchiette con la testa coperta da foulard, nel piu'classico stile del mediterraneo.
Non ha forse piu' senso parlare di guerra qui, di quanto possa essere stata brutale,del contrasto tra la capacita' creativa dell'uomo e la sua barbara vena distruttiva.
Qui tutto questo non ha piu' senso.
Le storie di sofferenza sono nella mente di tutti, gli edifici  diroccati davanti agli occhi (qui meno che a Mostar), e la vita ha gia'ripreso il suo corso: la ricostruzione ha gia' da un pezzo iniziato il suo corso, la crescita economica c'e' e si fa sentire, la civilta' e' sempre stata di casa da queste parti, e non sono bastati i cannoni  ad allontanarla.
Non c'e' davvero bisogno di rimarcare cio'che e' fin troppo ovvio.
Bascciarscia e' un nome affascinante: anche a chi non l'ha mai sentito prima suona di Mosca e Istanbul insieme. Passeggiare per le sue strade tra le botteghe dei ramaioli, costeggiare il bazar coperto o una delle moschee, ed immediatamente dopo passare in una larga via pedonale viennese, sedersi in un caffe' a bere un caffe' bosniaco (che poi e' uguale a quello turco, greco, armeno, serbo, etc.) eriempirsi lo stomaco di carne alla griglia il cui sapore ti fa capire immediatamente di provenire da un animale vero, altro che allevamenti biologici e altre vaccate. Ecco un breve sommario di quello che questo posto ti puo'offrire. Chissa', potrei anche tornare presto da queste parti.
 
L'humor serbo ha tinte noir. Descrive con leggerezza di due vecchi che si passano il pane come un pallone da rugby per fuggire l'assalto della folla ancora in coda (1999); gli abitanti di un villaggio che protestano, visto che sono altrettanto se non piu' importanti dei loro vicini, ma gli americani li hanno snobbati e non gli hanno lanciato nemmeno una bomba; parla di come si abbia rispetto per le tradizioni, e quindi di come a nessuna generazione, nemmeno alle prossime due, manchi la nonna che racconta le storie della coda alle 4 del mattino per il latte o per il pane. E con la stessa leggerezza ti dicono che si, ogni straniero che arriva qui si meraviglia di come siano civili, moderni, puliti ed amichevoli, ma che dover affrontare una guerra in media ogni vent'anni rende particolarmente difficile mantenere questa immagine. Forse anche loro hanno diritto a qualche anno di pace.
La stampa internazionale ai tempi della guerra in Kosovo (1999, regione di origine dello stato serbo, e che tra l'altro e' ricca di miniere e petrolio, questo giusto per spiegare come mai agli USA sta tanto a cuore la causa albanese) si riferiva alla Serbia con il termine Mordor. L'ignoranza ed il pregiudizio d'altronde sono tra loro buoni compagni di viaggio.
Giuse
 
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Scende la neve, bagna le strade ed inbianca i tetti di Belgrado.
La citta' bianca (questo vuol dire il suo nome) tiene fede al suo nome giusto oggi: nella norma e' di un monocrono grigio-unione sovietica.
Hladno (freddo), mi viene da dire ad un vecchio che guarda un po' il punto dove la verde acqua della Sava si getta placidamente nel torbido Danubio, e un po' il ragazzo evidentemente straniero che scatta foto, che poi sarei io. Zima (inverno) mi risponde accennando un sorriso: come a dire, che diavolo ti aspettavi da Belgrado a febbraio.
E invece, gia' stamattina un bel sole primaverile scalda la citta', che cosi' sembra quasi bella, e cosi' mi godo una giornata a vagare per parchi e viali, dopo aver visto il museo di quel genio di qui che giocava con la corrente, Nikola Tesla, e le sue invenzioni degne del miglior film su frankenstein, sprigionanti fulmini e scintille.
 
E' bello incontrare qualcuno che conosci bene e che non vedi da tempo: cosi' e' stato per me a Novi Sad , dove ho potuto rincontrare due amiche che hanno studiato con me in Grecia, e che mi hanno ospitato da loro. A soffrirne e' stata la mia tabella di viaggio, che nulla a potuto di fronte all'offerta di un'altra cena casereccia, e dalla quale e' stata di conseguenza depennata la tappa che mi voleva a Novi Pazar, nel sud della Serbia. Pazienza, e' il bello del viaggo.
Giuse
 
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Dal crollo di realta' alle quali siamo assuefatti emergono l'ignoranza e la pochezza delle nostre conoscenze.
Mi sono reso conto di questo paragonando il punto di vista ed i commenti della gente qui con quelli che mi era capitato di ascoltare nel caucaso. La maggior parte della gente che ha vissuto nell'unione sovietica o nella yugoslavia prova un certo senso di nostalgia per il passato, quando erano parte di una grossa e forte nazione, ma oggi come allora non ha in realta' idea di chi siano gli "altri" con cui condivideva la stessa bandiera. E cosi' trovi i croati, barvi e gentili, che si mettono a parlare con te, sono curiosi di conoscere che cosa ne pensi di loro e come funziona la tua vita a casa, ma che ti dicono di stare attenti ai serbi, che non sono come noi, sono brutta gente, d'altronde tutti sanno cosa hanno fatto nella guerra. Poi attraversi la frontiera, magari incontri un bosniaco musulmano, che ti sorride, ti invita a bere un te' insieme e ti descrive le molte bellezze della sua terra e della sua cultura, ma che poi finisce sottolineando quanto siano stati brutali i croati nel cercare di distruggela. E cosi' via, in serbia, la gente ti accoglie a braccia aperte, e' ospitale e cortese, curiosa, vuole farti vedere che nella loro terra la storia nel senso europeo del termine, come civilta' organizzata e unita, esiste da sempre, che sono un grande popolo come te. Ma non come i montenegrini, che sono solo brutali pastori di montagna e banditi, e nemmeno come gli albanesi, che sono entrati nella culla della loro civilta', il kosovo, e l'hanno distrutta per colpa della loro primitiva rozzezza e della loro incapacita' di vivere in pace con gli altri. E in montenegro vedrai sempre le stesse persone ospitali, magari con visi leggermente diversi, forse con corporature leggermente piu' massicce rispetto ai longilinei belgradesi, ti accoglieranno con sorriso alla loro njokada (parola che non mi e' proprio riuscito di tradurre...) di carnevale, riempiendoti il piatto di cibo e il bicchiere del loro ottimo vino ,e li sentirai raccomandarti di non andare oltre il confine albanese, perche' di la' c'e' brutta gente, meglio evitarli.
Mi e' venuta in mente una vecchia signora georgiana, che sicuramente ha vissuto la maggior parte della propria vita sotto la falce e martello, che ha iniziato a farsi il segno della croce e ha continuato per tutto il tempo che il treno destinato nel musulmano azerbaijan ha impiegato per oltrepassare il confine. Ma la stessa signora non si rivolgeva all'olivastro capotreno del baku express in russo chiamandolo tovarish fino a 15 anni fa?
In realta' il nostro mondo e' piccolo e limitato, e allargarne gli orizzonti richiede una fatica che in pochi sono disposti ad affrontare.
 
Un altro colpo di fortuna: sono arrivato a Kotor, la veneziana Cattaro, giusto in tempo per il carnevale. In piu' la boka kotorska, la baia che si incunea da qui fino all'adriatico oltreche' il piu' lungo fiordo al mondo (eh si, anch'io sono rimasto sorpreso scoprendo che i vichinghi non c'entrano...) e' stato immerso in un bellissimo sole primaverile per tutta la giornata. Tra l'altro, seguendo un suggerimento particolarmente appropriato, mi sono riempito lo stomaco con della deliziosa e freschissima aragosta, pagandola una miseria: ringrazio chi di dovere.
 
Nelle foto che mostrero' al ritorno mancheranno larghe parti di belgrado ed il castello di golubac lungo il danubio sommerso dalla neve: purtroppo mi hanno rubato lo zaino con le macchine fotografiche, tra l'altro l'unica volta che le avevo tutte 3 con me, e purtroppo le memory card in questione non erano ancora state copiate nel disco. Spero vi accontenterete di una sommaria descrizione, semmai provero' a farne uno schizzo a matita.
Giuse
 
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Prima di tutto: a tutti i miei fans interessera' sapere che ho appena trovato una zenith (macchina fotografica russa) con annessa fantastica lente a 15 euro. grazie Tirana. Tra l'altro si e' aggiunta l'impagabile soddisfazione di effettuare contrattazione ed acquisto nel bagagliaio di una macchina. Inpagabile.
 Il carnevale a Kotor ha mantenuto le attese, e da buona citta' veneziana la sfilata ha proposto maschere elaborate ed affascinanti a volonta'. Lascio il montenegro soddisfatto di quello che ho visto, e piuttosto deciso a farne prossimamente un luogo per le mie vacanze estive. Unica pecca e' l'attitudine di questa gente di lamentarsi troppo di qualunque cosa, dalle condizioni di vita alle scarse possibilita' offerte per fare il grande balzo, agli abitanti dei paesi vicini, che chissa' come mai, sono sempre gente di cui si dovrebbe far meglio a guardarsi, pronti a balzarti alla schiena appena possibile. Convinzione questa comune a tutti i popoli da me incontrati finora.
 
L'arrivo in albania, oltre a costituire uno shock culturale non indifferente, mi ha permesso di ricordare che in effetti c'e' gente che avrebbe ben piu' diritto di lamentarsi degli ex yugoslavi. Li' il tenore di vita e le condizioni economiche erano quasi ovunque ad un livello paragonabile con quello dell'europa occidentale, caso unico nel blocco comunista, e la guerra, pur con le sue evidenti cicatrici, non ha radicalmente cambiato il livello culturale ed il tenore di vita. Ma qui in Albania la miseria e' purtroppo sempre stata di casa, anche grazie a noi italiani, e 50 anni di comunismo non hanno potuto che peggiorare le cose.
La baraccopoli fuori Scutari non ha nulla da invidiare alle favelas sudamericane, e Tirana e' per larghi tratti sprovvista di strade asfaltate anche nel centro. E' quasi impossibile dare un'idea di quanto povera possa essere questa terra, nonostante la sua posizione geografica sia favorevole, nonostante l'incantevole bellezza della sua campagna e dei suoi monti senza menzionare il litorale adriatico, che come in Croazia, Montenegro e Grecia offre alcuni dei piu' bei paesaggi marini al mondo.
L'hotel dove ho passato la notte a Scutari si affaccia sulla piazza centrale, e' decisamente il migliore della citta', e ciononostante ho pagato una camera 4 euro, l'elettricita' d'inverno e' disponibile solo qualche ora verso sera, e nemmeno l'acqua esce tutta la giornata dal rubinetto. Posso solo immaginare cosa voglia dire vivere in una casa fuori dal centro.
Ciononostante sia Scutari sia Tirana sono citta' vitali, con traffico allucinante e mercati di strada sempre affollati di persone intente a negoziare, guardare e valutare qualsiasi cosa sia in vendita.
Dare un'occhiata qui aiuta decisamente a guardare sotto un'altra luce gli albanesi che decidono che tutto sommato 75 km (3 ore sul piu' lento gommone) non siano troppe per provare a vivere da noi una vita diversa. E qui non ho ancora sentito nessuna delle persone con cui ho parlato lamentarsi di quanto siano terribili le loro condizioni di vita.
Giuse
 
9
Le nuvole basse non permettono da qui di vedere la sponda albanese del lago di Ohrid, ma aggiungono fascino al monastero ortodosso che sorge a picco su una scogliera sulla riva, diviso dal resto della citta' macedone che porta il nome del lago da una bella foresta di conifere. 
La Macedonia qui e' un ritorno ad occidente, alle strade ben pavimentate, alle vie di negozi, ai caffe' di design. C'e' poco traffico, molte strade sono chiuse alle auto, e la citta' vecchia, con le case in legno con le verande dal sapore turco aggettanti ai primi piani, ha strade progettate ben prima dell'invenzione delle auto. L'intera sezione della costa macedone del lago, piu' la citta' vecchia con le sue decine di chiese ortodosse e' giustamente tutelata dall'Unesco. Quello che mi chiedo e' come e' possibile che l'altra costa di questo lago, che e' uno di tre piu' antichi al mondo insieme al Bajkal (Siberia) ed al Titikaka ( Peru'), non sia altrettanto meritevole di tutela, e quindi siano tollerati gli abusi edilizi che devastano il litorale albanese, e l'incredibile quantita' di spazzatura che ne punteggia il lungolago. 
Senza perdermi nella discussione storica tanto cara ai greci sulla legittimita' o meno di questa gente di usare il nome Macedonia, arrivando qui e' impossibile bnon constatare che questa gente ha una storia unitaria che dura da parecchi secoli, e di cui vanno giustamente fieri. 
Ripensarndo a come mi veniva presentata la Yugoslavia a scuola , come blocco omogeneo, con una capitale, altre importanti citta', ma  senza entrare nei dettagli delle diverse popolazioni che la conponevano, mi viene da pensare che probabilmente in media conosciamo poco anche dei posti vicini a noi. 

L'Albania e' una succursale italiana. La segnaletica stradale e' fatta dalla stessa ditta che produce la nostra, usando la stessa grafica, per cui le strade principali interurbane sembrano esattamente le nostre statali. I nuovi edifici che vengono eretti un po' ovunque (e spesso senza piani regolatori) dentro e fuori le citta' assomigliano all'edilizia che fa bella mostra di se' nei paesi della provincia lungo tutta la pianura padana e nei lungomare dell'adriatico: finti marmi, linoleum, enormi vetrate, colori sgargianti. Trionfo del kitsch. E se non bastasse, ovunque svettano insegne italiane: di ditte nostrane che si sono stabilite qui per ragioni economiche; di prodotti italiani di qualunque tipo, che qui sono il simbolo dell'alta qualita' e del benessere; e anche semplici insegne come "non parcheggiare", "vietato l'accesso", "attenti al cane", "zona industriale" che qualche intraprendente si e' portato a casa al ritorno dal nostro belpaese. 
Considerando che l'Albania noi (anche se sotto lo zio Benito) l'abbiamo colonizzata, lasciando peraltro profonde tracce nella popolazione locale (ad esempio la dimestichezza con la lingua, che qui parlano tutti) e tracce decisamente meno profonde nello sviluppo economico, dovremmo forse smettere di pararci dietro "quello era il fascismo, noi italiani siamo brava gente" e aiutare a risolvere i casini che abbiamo lasciato in eredita' in giro a questa gente (per un altro esempio a proposito date un occhiata alle notizie riguardo al casino che sta succedendo in Somalia di questi giorni). 
Giuse
 
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La storia yugoslava e' storia di fiumi. Il torbido Vardar, che scorre lento attraverso il centro di Skopje, segna anche il confine tra due mondi: quello moderno, caratterizzato dalle larghe piazze e dai larghi viali dell'urbanistica razionalista dei tempi di Tito, e quello rimasto ad un secolo fa, delle vie ciottolate e strette, delle mille botteghe artigiane lungo la strada e dei fatiscenti cortili interni agli edifici, del bazaar coperto dove puoi davvero trovare qualunque cosa, e dove la minoranza albanese che vive ed ha sempre vissuto da queste parti continua a far sentire la sua lingua ovunque, ed a rispondere al richiamo alla preghiera dei muezzin dalle moschee: "venite a pregare, venite a salvarvi".
Le due componenti, come in tutti i balcani ad esclusione della Sarajevo d'anteguerra, non si integrano se non per approfittare dei piu' ovvi vantaggi dell'altra parte, ad esempio i prezzi decisamente piu' bassi al mercato della ciarscia (citta' vecchia) albanese, o gli onnipresenti internet cafe' e negozi di marche occidentali della parte macedone.
L'alta collina che sovrasta il centro, cioe' la parte macedone, e' diventata un'altra delle "montagne della croce", che sono sorte da tutte le parti in Macedonia, ovvero alture sovrastate da (brutte) croci metalliche di gigantesche proporzioni che vengono illuminate nel cielo notturno, e permettono anche di avere una bella vista sulle vallate sottostanti grazie alla terrazza sul braccio orizzontale. Un'altra croce del genere l'ho vista a Mostar, sul colle dominante la parte croata della citta', e da dove la contraerea croata, in mancanza di bersagli in aria grazie alla no fly zone NATO, bersagliava gli edifici della sponda musulmana.
 
La campagna macedone e' ricca di colori, ma tra questi manca il verde scuro che siamo abituati a vedere da noi. La terra rigurgita argilla, e si colora di ocra e porpora, Gli alberi svettano con i loro tronchi scuri coperti anche in inverno di foglie di un rosso sanguigno che contrasta vivamente con gli arbusti di sottobosco ricoperti di muschi verde chiarissimo, e la vite, onnipresente in qualunque spiano, disegna lunghi filari facendo del terreno una scacchiera. Non e' difficile immaginarsi Alessandro Magno che dalle tende di un suo accampamento beve un bicchiere di Vranec (varieta' di vino eccellente quanto sconosciuta nell'Europa occidentale, che viene preparata solo con gli zuccheri naturali gia' presenti nella dolce uva locale) guardandosi attorno soddisfatto.
O forse non cosi' tanto soddisfatto, se potesse vedere adesso ilsuo popolo di valenti guerrieri e abili montanari, con cui ha conquistato uno degli imperi piu' grandi della storia: la prima impressione e' di avere a che fare con dei simpatici ed un po' apatici campagnoli, che non hanno nessuno dei caratteri estremi che, nel bene o nel male, contraddistinguono gli altri loro ex connazionali o gli albanesi.
 
Domani attraversero' l'ultima frontiera del mio viaggio, seguendo la valle della strumacka lungo i 40 km che ancora mi separano dalla Bulgaria.
Giuse
 
 
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Dalla frontiera con la Grecia e la Macedonia, delicato confine attraverso il quale passa una delle principali direttive dei traffici illeciti di cose e persone diretto all'Europa occidentale, inizia la parte bulgara della nuova strada che l'Unione Europea ha fortemente voluto per collegare degnamente via terra la Grecia con il resto dell'unione, o almeno cosi' sara' dal prossimo gennaio quando qui iniziera' a sventolare bandiera a 12 stelle.
Tagliando dritto verso nord le propaggini orientali dei balcani, sfiora a meta' del percorso uno dei piu' bei monasteri al mondo, incastonato nella stupenda valle del Rila, da cui prende il nome. Il cortile interno, dalla leggerezza di una casa veneziana con i ballatoi decorati da arcate di legno, fa da cornice ad una chiesa ortodossa decorata da multicolori icone, e sovrastata da quattro cupole d'oro e piombo. Con le montagne coperte da fitte foreste di abeti a fare da cornice, questo e' sicuramente uno dei posti piu' belli che mi sia capitato di vedere.
 
L'autobus diretto a Sofia si impanna due volte, a causa della neve che entra nel motore bloccandolo. Anche all'arrivo fiocchi grossi come palline da ping pong ti si attaccano addosso, ricoprendo tutto e tutti di bianco. Ma al risveglio un sole brillante saluta il mio ultimo giorno di viaggio, illuminando la citta', ancora bianca e scintillante. E' piacevole aggirarsi per i larghi viali del centro, ed imbattersi in monumentali chiese che ti fanno ricordare che la madre russia e' vicina, in mercati di strada dove oggi il prodotto piu' in voga sono pezzi di stoffa bianchi e rossi in qualunque forma, che tutti i locali esibiscono addosso in vista delle celebrazioni di dopodomani per la festa nazionale. Stasera la mia ultima notte sara' nei saloni dell'aeroporto, aspettando il check in, che qualche sadico sicuramente afflitto da nostalgia dei tempi di Dimitrov e Zhivkov e della stella rossa sugli edifici ha fissato alle 4 del mattino.

1 comment:

Emilio said...

Grazie mille del racconto!
Stupendo!
Già avevo voglia di farmi un giro per i Balcani, adesso ne ho ancora di più!!! :)

 
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