Jun 3, 2007

Lungo le strade del Turkestan

Lunghe distese di deserto si srotolano sotto un cielo azzurro spesso velato da nubi di sabbia, e riempiono lo spazio incorniciato dai giganteschi bastioni montuosi delle piu' alte cime del pianeta. dopo aver percorso il claustrofobico corridoio del Gansu, incastonato tra gli altopiani tibetani e le inospitali distese del gobi e della mongolia, ed aver attraversato quella porta di giada che rappresentava la fine della civilta' cinese e l'inizio delle terre dei nomadi, entrare in Xinjiang lascia spiazzati e disorientati, confonde le direzioni, e concede riferimenti sicuri solo ai propri margini, lungo i pendii del tian shan o dell'himalaya.
Ma ai bordi del temibile Taklamakan, il deserto dei demoni di sabbia, il luogo piu' inospitale al mondo, dove l'acqua che scende dai ghiacchiai settemila metri piu' in alto riesce a trovare una via che non la disperda, nascono oasi di vegetazione rigogliosa che riescono ad ospitare centinaia di migliaia di persone, che rappresentano rifugi, e la cui esistenza rende possibile il passaggio della regione, e quindi la comunicazione via terra dalla Cina all'Europa.
Ecco il cuore della via della seta, a meta' strada tra Pechino e Istanbul.

La prima di queste oasi e' Turpan, che si trova sul fondo della seconda depressione del pianeta, a centocinquanta metri sotto il livello del mare, dal quale e' anche il luogo piu' distante, racchiusa com'e' nel cuore profondo del continente asiatico.
La citta', antico centro di buddhismo convertito poi all'islam, e' anche la piu' vicina alla frontiera storica con la Cina tra quelle popolate da maggioranza uigura, la principale popolazione nella regione, di lingua e cultura turche. I viali della citta' sono addolciti da vigne, che a volte arrivano a creare vere e proprie arcate naturali, ripari contro la calura oppressiva che qui tocca cime record, fino a vertiginose temperature vicine ai 60 gradi in piena estate. L'uva e' anche il prodotto piu' apprezzato dell'oasi, ritiratasi dal ruolo di crocevia fondamentale nella comunicazione tra oriente ed occidente a quello di ingentilito villaggio rurale, dove i ritmi sono scanditi dal ciclo annuale della vigna e della seccatura dll'uva nelle apposite torri sopra le case.
Attono alla citta' il deserto, domato nei secoli con lavoro certosino e difficile: canalizzazioni sotterranee percorrono i lunghi chilometri di roccia che separano l'oasi dai pendii innevati del tian shan, a volte per oltre 40 km, e necessitano continua manutenzione che puo' essere garantita solo con antiche tecniche a lavoro manuale. Gruppi composti da due uomini ed un animale da traino seguono il percorso dei karez, immergendovisi per fissare interi blocchi di detriti e trascinarveli fuori, in modo da evitare l'ostruzione del passaggio dell'acqua. La posta in gioco e' la sporavvivenza stessa della citta', come dimostra bene l'impressionante distesa di rovine dell'antica GaoChang, citta' carovaniera sulla via della seta, ora divorata dal deserto ed abbandonata alla proria rovina.
La natura e' qui estrema, bellissima e brutale, come lungo i pendii rossi delle montagne di fuoco, che si incendiano alla luce del tramonto e rivelano le profonde gole che ne percorrono i fianchi verso il fondovalle, brulli dirupi di ghiaia, o a bezeglik, canyon incastonato tra aride montagne di sabbia rossa, dove un fiume seminascosto dona vita ad una vegetazione lussuregiante e dove, incastonate alle pareti, come santuario alla fragilita' della natura da queste parti, si trovano antiche grotte buddhiste ricoperte da pitture e statue di un tempo passato, sfregiate nei secoli dalle stesse genti che le costruirono, come sacrificio al nuovo unico dio proveniente dall'infuocata Arabia.

Il Taklamakan e' un alternarsi di macabre distese sabbiose, alte dune, vaste pietraie spazzate dal vento e catene montuose solcate da profonde ed aride gole. La strada che collega le oasi, la stessa che i mercanti attraversavano in carovane di cammelli, e' inospitale e minacciosa, ma resta quantomeno praticabile, al contrario della sovrumana vastita' dello spazio interno al deserto. La conquista dell'ovest cinese e' riuscita dal momento in cui si e' riuscito a domare proprio quel deserto che per le popolazioni locali ha sempre rappresentato isolamento e divisione. In effetti, la mentalita' uigura e' talmente legata alla realta' dell'oasi che ancora adesso nessuno si pronuncera' sui meriti o difetti degli abitanti delle altre oasi a meno che abbia avuto la possibilita' di conoscere personalmente il luogo: un modo di pensare cosi' distante dalla nostra necessita' di ricorrere a stereotipi!

E poi si arriva a Kashgar: il mitico crocevia di strade alla fine del mondo, incastonata fra le imponenti catene d'Asia ed il deserto, fiero cuore dell'indipendenza dell'Asia centrale con una storia scritta nel sangue e nelle asperita', vive oggi una feroce resistenza culturale all'occupazione cinese. Da qui e' partita l'islamizzazione dell'intero bacino del Tarim e della Cina occidentale, quindi il nazionalismo non poteva assumere altro aspetto che quello dell'islam tradizionale. I veli delle donne sono a volte teli che coprono completamente il volto, le barbe degli uomini vengono accuratamente curate ma mai rasate, creando i volti fuori dal tempo dei vecchi canuti dalla pelle consumata dalle asperita' del clima. Vecchi mestieri vengono continuati da generazioni in botteghe che tradiscono l'influenza del subcontinente indiano, e l'unica lingua che risuona tra le strette vie della citta' vecchia e' l'idioma locale.
(continua...)

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