A pechino si sta svolgendo il vertice a sei sul nucleare nordcoreano che, iniziato giovedì 8 febbraio, vede sedere al tavolo i rappresentanti di Cina, Stati Uniti, Corea del sud, Russia, Giappone e naturalmente Corea del Nord.
Questo nuovo round di colloqui è accompagnato dall'ottimismo dei delegati, in particolare nelle parole di Condoleeza Rice e della delegazione americana. L'obiettivo del vertice è di disarmare il regime nordcoreano, che si stima possieda già armamenti atomici ma che non ne abbia piccoli a sufficienza per essere innescati sulle testate missilistiche. Si cercherà di sfruttare la carestia che ha colpito la Corea del nord, e che probabilmente sta provocando decine di migliaia di morti per fame, offrendo aiuti umanitari sempre più ingenti in cambio dell'accordo alla rinuncia nucleare.
L'ONU raramente ha preso una posizione così univoca nella gestione di un'emergenza, grazie alla convergenza di massima degli interessi degli stati più coinvolti nella questione: nonostante questo i vertici a sei precedenti non sono mai riusciti a raggiungere un accordo tale da costringere realmente il regime coreano a procedere nel disarmo, senza ripensamenti e voltafaccia. Il fallimento dei verici precedenti è sempre giunto nel momento in cui, per ragioni strategiche, Pyongyang ha interrotto le trattative o rifiutato i termini di accordo raggiunti in precedenza, ritornando alle minacce. Il punto è che la Corea del nord vive nell'isolamento, rotto il quale il regime sarebbe destinato ad una tragica e probabilmente immediata caduta: Seoul mira ad una riunione della penisola ma, spaventata ddal precedente tedesco, ha paura che se questo avvenisse a seguito del collasso del nord l'intera economia nazionale ne verrebbe colpita; Giappone, USA e Russia hanno principalmente interesse il risvolto militare del problema, e Pechino vede la Corea del Nord come parte naturale della propria sfera di influenza, dove per esempio delocalizzare le proprie fabbriche, per ridurre i costi della manodopera. In questo scacchiere si arriva al paradosso che smaschera la poca lungimiranza delle politiche basate sul buonismo: gli aiuti umanitari per la popolazione diventano arma di ricatto da parte di Pyongyang, fonte anelata di risorse per uno stato economicamente collassato, che cerca solo di mantenere il proprio autocratico sistema. In realtà chiunque voglia esportare una società civile fatta di democrazia, ong ed aiuti alla popolazione dimostra poca conoscenza della intricata realtà della regione, e di fatto favorisce unicamente il drammatico status quo, dove la minaccia armata nucleare è merce di scambio e autogiustificazione del governo nordcoreano. Forse invece, per l'occidente, accettare il sacrificio geopolitico dell'influenza sulla Corea del nord del futuro, e favorirne lo sviluppo economico senza imporre in parallelo quella democratizzazione che è la nemesi della sua leadeship, porterebbe a ridimensionare la minaccia proveniente dallo "stato eremita".
Qui i link ad alcuni articoli sull'argomento, in inglese della BBC e del People's Daily (quotidiano cinese ufficiale del partito)
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6052178.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6340157.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6344819.stm
http://english.people.com.cn/200702/09/eng20070209_348800.html
e qui il link al podcast di "alle 8 della sera, Chung-Kuo" di Federico Rampini: la puntata 19 parla di Corea del Nord
http://www.radio.rai.it/radio2/podcast/lista.cfm?id=1030
Feb 9, 2007
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