Mar 1, 2010

Perchè il commercio equo e solidale deve adattarsi al libero mercato



Spesso i prodotti del commercio equo e solidale vengono venduti ad un prezzo più alto dei corrispondenti prodotti comuni.
I consumatori "accorti" e "consapevoli" sono felici di pagare questa differenza, conoscendo i benefici sociali del prodotto, e spesso attribuendovi una migliore qualità.
In realtà questa modalità di consumo nasconde un errore sostanziale.
Analizziamo la struttura del processo economico sottostante al commercio, diciamo, del caffè, che insieme al cacao è simbolo del commercio equo.

In un rapporto economico di libero mercato troviamo diversi attori interessati nel processo di produzione e distribuzione del caffè: il contadino che lo produce, il mercante che lo compra al contadino, lo distribuisce e trae i profitti dalla vendita, ed il consumatore finale del prodotto, che lo acquista.
Chiaramente nella categoria "mercante" possono trovarsi più individui, che rappresentano i diversi passaggi della catena di distribuzione, ma per la nostra analisi il numero di questi passaggi intermedi non è importante, in quanto possiamo ammettere che, se il sistema è ottimizzato, siano gli stessi sia per la distribuzione classica sia per quella equa e solidale.

Il contadino può possedere o meno la terra che lavora, ma in generale non avrà la liquidità necessaria ad assicurarsi i mezzi produttivi per garantirsi il raccolto. Questo è un elemento chiave dell'intera analisi: il contadino i questione non è indipendente economicamente, quindi dovrà ricorrere a un prestito di capitale per poter produrre il raccolto. Difatti il sistema equo e solidale (che d'ora in poi abbrevierò ES) non si applica ai prodotti di agricolture di aree completamente sviluppate (o artigianato, per estensione).

Quindi, il contadino per produrre ha bisogno di reperire il capitale da investire nei mezzi di produzione, dalle sementi ai macchinari agli antiparassitari etc.
Se si rivolge ad una banca, potrà ricevere un prestito a tassi molto poco vantaggiosi, in quanto la banca dovrà garantirsi contro l'insolvenza del contadino, che non possiede garanzie sufficienti: il raccolto annuale insomma rappresenta in assoluto la più importante risorsa economica del contadino.

Il mercante offre quindi un prestito al contadino ad un tasso leggermente migliore di quello che la banca può offrire.
Questo può sembrare frutto di una logica antieconomica, ma in realtà con il prestito (che il contadino ovviamente accetterà in quanto più vantaggioso) trasforma il contadino in debitore, e potrà acquistarne il prodotto per poi rivenderlo.

Il mercante segue una logica di massimizzazione del profitto.
Questo significa che il prezzo che pagherà al contadino per i suoi prodotti sarà il più basso possibile, in grado cioè di ripagare il debito e garantire la minima sussistenza al nucleo famigliare del contadino in una stagione normale, ma costringendo il contadino a protrarre ulteriormente il debito in caso di raccolto scarso.
Il limite minimo del prezzo è dato dal mantenimento della convenienza del prezzo fatto dal mercante rispetto a quello calcolato sul prezzo del prestito bancario, tenendo conto che il contadino in un'agricoltura non meccanizzata non può vendere le sue merci direttamente al mercato saltando l'intermediazione del mercante.

Vale la pena notare che il mercante sta comportandosi in maniera neutra, questo paradigma economico non è influenzato da scelte morali, solo dalla logica di massimizzazione del profitto del mercante, che ovviamente cercherà la maggior convenienza negli affari.

Il mercante quindi sosterrà dei costi di distribuzione della merce, la venderà ad un prezzo concorrenziale che gli garantisca un guadagno. A parità di prodotto i consumatori acquisteranno quello a costo minore.

Un prodotto ES obbedisce allo stesso paradigma, ovvero la filiera produttiva del singolo chicco di caffè dalla pianta a casa nostra è la stessa. La differenza principale sta nella logica del mercante. Il mercante ES (perchè di questo si tratta, ovvero di chi distribuisce e vende la merce del contadino che come abbiamo detto non è in grado di farlo da solo) non usa una logica di massimizzazione del profitto, ma di distribuzione equa del profitto stesso con il contadino. Questo non cambia i costi di produzione e distribuzione, il contadino dovrà comunque ricorrere al prestito del mercante ES per l'acquisto dei mezzi di produzione essenziali.

Il prezzo finale del prodotto rimane quindi lo stesso, in quanto non è gravato da costi diversi: l'unica differenza chiave tra i processi sta nella logica di ridistribuzione del profitto: nella filiera tradizionale il mercante, avendo la possibilità di allocare il profitto, massimizzerà la sua quota parte. Anche il mercante ES potrà allocare il profitto dell'intera operazione, ma seguendo una logica di distribuzione equa, garantirà al contadino una più alta quota parte.

La logica di mercato per cui vale la pena pagare di più un prodotto equo solidale in quanto tale rappresenta quindi un ingiustificato aumento del prezzo finale del prodotto stesso, sostenibile solo grazie alla buona fede dei consumatori; limita inoltre la capacità di espansione sul libero mercato delle merci di provenienza ES.

Quest'anno ricorrono i 150 anni dalla pubblicazione di "Max Havelaar" dello scrittore olandese Multatuli, libro di protesta sociale conro le quote di coltivazione di te e caffè e le inique politiche coloniali nelle Indie orientali olandesi, che rappresenta una pietra miliare nella presa di coscienza dei problemi della distribuzione equa.
Vale la pena leggerlo.

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