Apr 9, 2007

Ballerine e Lanterne Rosse










Foto da Pechino, amici

Ecco un po' di foto degli amici che sono qui con me a vivere Pechino








Apr 3, 2007

Apr 2, 2007

Cina e Russia, prove di vicinato

Ieri sera CCtv9, il canale in inglese della tv di stato cinese, trasmetteva per l'ennesima volta nel suo telegiornale le immagini del premier Hu Jintao mentre ripete una filastrocca cinese ad un'aula di biondi bambini russi, che ripetono sorridendo.
Il premier Hu è in questi giorni in visita a Mosca, ad inaugurare l'anno della Cina in Russia, evento che segue immediatamente quello della Russia in Cina, manifestazione coronata da un grande successo d'immagine.
Più tardi l'ambasciatore russo siede nel salotto del talk-show della rete, in uno spettacolo di dogmatismo e retorica inusuale per la rete anglofona cinese; vengono mostrati i simboli delle due nazioni, cercati parallelismi a volte piuttosto azzardati, tirate le somme della storia delle relazioni tra i due paesi, sfiorando elegantemente il periodo della rottura, profonda a al punto da portar quasi ad una guerra. Il pubblico si alza a turno, sono giovani studenti: impacciati, in un inglese che non parlano bene, rispondono con slogan politici che utilizzano parole ben al di là della loro abilità linguistica, e fa tenerezza sentirli arrampicarsi su "brotherhood" e "strategic partnership". Insomma, l'orso bruno e il panda, uniti in un simbolo di grande effetto, sono dipinti come fratelli dal passato comune e dalle idee condivise per il futuro.
Purtroppo la retorica cinese non riesce mai ad essere convincente, e più che ingannare lascia con la senzazione di aver impattato contro un muro di gomma.
Il nuovo clima di collaborazione tra Cina e Russia è comunque evidente a tutti i livelli: in politica internazionale, le posizioni di entrambi i paesi all'ONU sono le stesse, sia a causa delle rispettive priorità strategiche sia in funzione di bilanciamento di quelle statunitensi; l'attuale crisi iraniana ne è un chiaro esempio, dove il moderato supporto sinosovietico all'Iran probabilmente sarà lo scoglio insormontabile all'intervento armato. L'Asia centrale, regione chiave per l'approvigionamento futuro di materie prime ed energia per lo sviluppo cinese, e tradizionale sfera d'influenza russa fin dai tempi del grande gioco, è un'altra priorità strategica comune dei due paesi, e in questa chiave bisogna vedere le politiche di accordo e cooperazione che cercano di limitare di fatto l'influenza americana nella regione: l'alleanza con le repubbliche e sovietiche ed il supporto all'Iran spostano il baricentro della regione lontano dall'Afghanistan e dal Pakistan, attuali teste di ponte della penetrazione americana nell'area.
Inoltre la Russia rappresenta insieme un importantissimo mercato ed una essenziale via di export per le merci cinesi verso occidente.
L'uso propagandistico di temini quali "popoli fratelli", seppur poco credibili storicamente, delinea però l'intensificarsi di una cooperazione che potrebbe portare a creare un asse determinante nella politica internazionale del prossimo futuro.

Mar 29, 2007

Fotografo cinese

Qualche giorno fa mi è capitato di conoscere un personaggio davvero interessante: "cavallo selvaggio", questa la traduzione del suo nome dal cinese, è un fotografo estremamente creativo, esempio della nuova e fervente scena culturale della capitale cinese.
Questo è il suo sito internet, http://photo.163.com/photos/wild_horse310/ che anche se scritto in cinese lascia parlare le immagini con eloquenza, e questa è la galleria del suo blog che ha dedicato al nostro incontro http://blog.163.com/wild_horse310/blog/static/1418838200722513543136/

Mar 23, 2007

GuangZhou (Canton)

L'acqua del fiume delle perle scorre placida lungo i vari canali all'approssimarsi della foce. Pescherecci dalla chiglia agile ed avvolti in ragnatele di sartie che si dipanano dalla cima dell'albero stanno ormeggiati lungo questi meandri d'acqua, in attesa di salpare ed aprire le ali di rete nelle baie pescose della baia del fiume; al loro fianco beccheggiano chiatte a fondo piatto, deputate al trasporto delle merci lungo il corso d'acqua, a banchi di mercato, e spesso anche ad abitazione per la famiglia di mercanti.
GuangZhou (la città che conosciamo meglio con il nome occidentalizzato di Canton), rinomato cenro della gastronomia cinese, ricca e pragmatica, si stende ampia ad abbracciare la rete di canali, tra macchie di vegetazione lussurregiante subtropicale: ricorda una delle grandi città degli stati uniti centrali, ampiamente distesa sul territorio, priva di un vero centro di sviluppo urbano, rarefatta.
GuangZhou non è una città che si fa ammirare, non ha bellezze o landmark che ne ricordino la storia: ha eretto un memoriale al dottor Sun Yat Sen, padre della patria cinese, ha qualche antica ed alta pagoda ancora sopravissuta ma abbandonata a sè stessa. E' sopratutto un mercato: interi quartieri traboccanti merci di scarsa qualità, infrastrutture stradali che collegano le aree della città soffocandone l'aria, ignorando la tutela della qualità urbana in cambio di una maggiore efficienza economica.
La qualità ambientale della città è estremamente precaria: la città si trova in una zona malsana di acque stagnanti, con umidità tropicale, inquinamento comune alle grandi aree urbane dell'Asia. L'aspetto caotico della metropoli è poi ulteriormente esasperato dalle cataste di merci che spesso abbandonano i confini dei negozi per occupare i marciapiedi.
GuangZhou è un'esperienza importante per capire le dinamiche della nuova ricchezza cinese e le conseguenze sulla quotidianità degli
individui dell'incredibile sviluppo economico ed urbano.

Mar 17, 2007

Hong Kong e Macao

Il mio viaggio inizia da dove l'europa si e' affacciata al celeste impero, scuotendone l'ormai anacronistica convinzione di essere la potenza di riferimento mondiale.
Il fiume delle perle si inoltra in territorio cinese come una ferita di coltello dai fertili mari del sud, dai quali entrano nel continente mercanti dalle isole del sudest asiatico. E con le merci su questi mari navigavano i pirati, sulle leggere giunche care alla letteratura di Salgari. E' questa la maniera trovata per salvare la faccia dell'impero, e accettare la concessione di un territorio ai portoghesi, potenza commerciale marittima nel seicento. D'altronde non aveva poi cosi' grande importanza strategica questa regione per l'impero, accentrato sulle province centrali dei bacini dello yantze e del fiume giallo, e interessato ad espandersi verso la direttrice della via della seta e delle steppe mongole piu' che ad impegnarsi in una guerra di conquista navale degli arcipelaghi filippino ed indonesiano e delle terre tropicali dell'indocina.
E cosi' un'isola di pescatori diventa Macao, il primo avamposto coloniale europeo in Cina, e la piccola penisola circondata da un arcipelago che si trova sull'altra sponda della foce del fiume delle perle nel XIX secolo diventera' Hong Kong, la terra strappata con l'arroganza della superiorita' militare ed economica dall'Inghilterra al cadente impero.
Hong Kong e' un gigantesco centro commerciale: le sue strade sono illuminate a giorno dai neon dei negozi che riversano le loro merci sulle vetrine e sulla strada. Ma e' una citta' pulita, benestante, attiva, che ha imparato l'importanza dell'igiene e della rispettabilita', ha capito di poter cercare la propria ricchezza rendendosi irresistibile, offrendo qualita' e prezzo eccezionali, profumati di sapore orientale. E' una meta semplice, amichevole, piacevolmente controllata nella sua bizzarria e nel manifestare le proprie origini e la propria cultura.
E' una citta' all'avanguardia anche rispetto ai canoni occidentali: il fumo e' regolamentato anche negli spazi aperti; il traffico e' rispettoso, mai caotico, poco rumoroso; le strade sono tapezzate da manifesti invitanti a ridurre l'overpackaging, ovvero l'eccessiva quantita' di plastica e carta usati per fasciare le merci: alcune parti del centro hanno letteralmente un secondo livello di strade, fatte da viali sopraelevati che permettono ai pedoni di non dover convivere con il traffico veicolare e di potersi spostare con rapidita' ed efficienza.
Non c'e' da stupirsi dei timori di questa libera e dinamica societa' al momento del ritorno alla madrepatria, quella cina che aveva rappresentato la principale minaccia ed al contempo la ragione del boom economico della citta' stato, sviluppatasi nel settore bancario e finanziario a seguito della crescente difficolta' del proprio settore produttivo, bloccato dall'ostilita' dell'opprimente vicino.
Sceso dall'autobus dall'aeroporto, mi si avvicina un giovane indiano, con un sorriso un po' ebete in volto, che mi propone una camera nella sua guesthouse: ha un aspetto assolutamente inaffidabile, e mi presenta un biglietto da visita spiegazzato che pubblicizza un'improbabile "Paris Guesthouse", con tanto di Tour Eiffel in oro. Ovviamente non posso esimermi dall'accettare la proposta: "150dollari" mi chiede, 70 gliene offro (6,5 euro, un prezzo davvero ridicolo per HK), lui accetta sul colpo...
e finisco a dormire in un ostello per commercianti indiani, bengalesi e pachistani, un sottomondo di affaristi che profumano di curry, entrano ed escono continuamente con nuove valigie stracolme di merci, quelle merci che servono ad alimentare il gigantesco luna park degli acquisti che sta fuori in strada.
Macao si adagia tra le colline che fanno dell'isola una naturale
roccaforte per la difesa ed il controllo della foce del fiume delle
perle. Ha un fascino sonnolento, sembra spesso sul punto di venir
riconquistata dalla lussuregiante natura tropicale, o forse ha
costruito con questa un equilibrio simbiotico basato sulla reciproca
acettazione. Gli edifici raccontano di un passato recente di relativa
noncuranza, quasi di abbandono a se' stessi, da parte di un'autorità
coloniale distratta ed interessata principalmente al prestigio
derivante dall'impero più che ad ottenerne un ritorno economico.
D'altro canto Macao ha potuto sfruttare solo raramente la propria
posizione in chiave strategica: nel XVII secolo come scalo dall'India
al Giappone, e in quei pochi anni dell'ottocento travl'apertura della
cina al commercio con l'estero e la guerra dell'oppio, che ha portato
la vicina Hong Kong in mano britannica e ne ha fatto il nodo
principale per gli scambi della regione.
Nella Macao odierna questo porta aduna maggiore indipendenza culturale
dalla ex madrepatria, di cui in sostanza restano solo alcuni splendidi
ecifici che ricordano l'architettura delle città coloniali in america
latina, i segnali stradali, i nomi dei negozi e le comunic azioni
ufficiali del governo locale in portoghese, lingua che quasi nessuno
parla e che è stata rapidamente sostituita dall'inglese. Al contrario
di Hong Kong qui il mandarino é largamente conosciuto e parlato,
accanto al locale cantonese, ed il ritorno indolore alla Cina nel 1999
ha dimostrato la volontà dell'isola di preferire un ruolo privilegiato
nella regione piuttosto che quello di ripiego in un'Europa della quale
non è mai stata culturalmente parte.

I cannoni delle fortezze rimangono puntati sul mare, un tempo
infestato dai pirati, ma adesso alcuni grattacieli appartenenti a
grandi alberghi e casinò dalle forme ardite e piuttosto kitch ne
sbarrano la vista. Al di sotto si dipanano stradine brulicanti di
piccoli negozi, parchi eleganti con laghetti e pagode, costruiti
secondo i dettami del feng-shui, abbelliti da rigogliosi giardini di
fiori dai vivi colori e da alberi le cui liane inglobano parzialmente
le facciate degli occasionali edifici portoghesi dai fregi elaboratie
dalle tinte vivaci.

Come tutto il sud della Cina, anche Macao è un paradiso gastronomico:
carni alla brace, zuppe di verdure, pesci cucinati vivi dopo essere
stati scelti in acquario, spiedini di pollo o di seppie, raviolini
ripieni al vapore, frullati di frutta fresca con zenzero e tamarindo,
banchetti che servono deliziosi tè aromatizzati con fiori, e poi dei
lenzuoli di carne seccata e marinata in salse agrodolci e peperoncino,
ed i piccoli biscotti locali, dall'intenso profumo di cocco ma dal gusto di ghiaia che ti
cementificano la bocca. Come spesso in Asia, Macao si scopre anche col
naso, nel bene e nel male....
Giuse

Mar 6, 2007

Nuova Partenza

Si avvicina a grandi passi il momento in cui si aprirà davanti a me la porta del mondo, dalla quale si dipanerà una nuova strada. Fra poco salirò sull'aereo che mi porterà ad Hong Kong, poi la mia strada mi condurrà lungo le tortuose vie dell'affascinante Asia, verso la capitale cinese, il regno eremita della Corea comunista, e poi l'Asia centrale delle carovane, della via della seta, delle civiltà sepolte dalle sabbie e dimenticate dalla nostra storia. Poi, l'antica Persia, quell'Iran che tanto temiamo, e che conosciamo così poco, per poi tornare lentamente alle terre d'Europa.
Cercherò ancora di trasmettere e ordinare le impressioni e le storie che potrò vivervi.
A presto,
Giuse

Mar 2, 2007

NEWS: Lotta alle disuguaglianze in Cina

La differenza di condizioni di vita tra le diverse aree della Cina è endemica, e dovuta alle diversità geografiche tra le regioni del gigante asiatico: mentre il bacino dello Yangtze e le regioni costiere sono ricche d'acqua, adatte all'agricoltura, con un clima mite e facilmente accessibili, le provincie nell'entroterra ed ai confini si trovano in aree geografiche caratterizzate da deserti ed alte catene montuose, che le rendono difficilmente accessibili e inadatte perlopiù all'agricoltura. In questo senso è abbastanza eloquente il dato della percentuale della superficie del paese da cui provengono i prodotti agrari che sfamano la grande maggioranza della popolazione, e che non supera il 10% nonostante gli sforzi a riguardo. Ma oltre all'elemento geografico, sulla disparità di condizioni pesa anche la geografia dello sviluppo economico: le regioni costiere, con le città più grandi ed importanti, non solo è il motore dello sviluppo finanziario e il luogo degli investimenti a capitale estero, ma anche la sede della maggior parte dell'industria e del commercio, relegando le altre provincie ad un ruolo subalterno di fornitori di materie prime ed energia, dove le popolazioni locali vivono prevalentemente di agricoltura di sussistenza.
Quello che però sorprende della politica cinese è l'inversione di tendenza che si sta registrando negli ultimi anni, tesa sia a sviluppare queste regioni, sia a combattere le più evidenti disuguaglianze che l'apertura al libero mercato ha creato. La politica dirigista e monopartitica di Pechino permette, nelle attuali condizioni, scelte inattese ed in controtendenza con l'interesse delle lobby di ricchi formatesi con l'apertura al capitalismo. Così, certamente per evitare il rafforzamento di un'autorità alternativa all'interno dello stato, ma anche per calmierare i malumori crescenti nelle ampie fasce di popolazione che vivono in condizioni di miseria, le politiche cinesi di riduzione della disuguaglianza portano avanti un'idea di approccio alternativo ed originale allo sviluppo, che se saprà rispondere e sopravvivere anche alle crescenti spinte verso l'apertura politica potrebbe rafforzare ulteriormente l'autorevolezza e l'importanza internazionale della Cina.

Link ad articoli della BBC, del China Daily, del People Daily, tutti in inglese:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6409519.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/4782194.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/5237748.stm
http://english.peopledaily.com.cn/china/19990914A119.html
http://www.chinadaily.com.cn/opinion/2007-03/01/content_816577.htm

Feb 25, 2007

NEWS: Nubi di guerra sull'Iran

L'Iran, per voce del presidente Ahmadinejad, dichiara di voler proseguire "come un treno senza freni nè retromarcia" lungo la strada della costruzione di impianti nuclleari per uso civile.
Che convenienza può trarne il governo di Teheran nello sfidare apertamente gli stati uniti? A differenza dei governi afghano e iracheno, oltranzisti sulle loro posizioni per assurdo fanatismo, Teheran è un giocatore di primo piano nella politica internazionale, a lungo abituato a muoversi nello scacchiere mondiale, e sopratutto il governo può contare sul supporto della maggiranza della popolazione, che lo ha eletto in elezioni libere. L'Iran non è, contrariamente all'idea che si può averne da fuori, un paese fondamentalista, nè socialmente arretrato: l'eredità dell'occidentalizzazione pre rivoluzionaria, unita alla maggiore libertà personale seguita alla rivoluzione, ne fanno uno degli stati dalla mentalità più progredita nell'intera area mediorientale per quel che riguarda la popolazione. Sembra paradossale, ma è così: mentre il controllo della Savak, la polizia segreta, era totale e spietato, l'attuale regime si limita principalmente ad un controllo sulla forma e sulle apparenze, e pur non potendo essere definito aperto e democratico, concede sicuramente maggiori libertà individuali.
L'America nonè mai stata vista con particolare favore in Iran, soprattutto a seguito del supporto incondizionato offerto al regime della dinastia Pahlavi: è quindi un evidente errore strategico e d'immagine quello, da parte dell'amministrazione americana, di condurre una politica di scontro diretto: questo porta solo ad aumentare la coesione interna degli iraniani, tanto più infastiditi dalle goffe manovre della CIA per finanziare i gruppi di minoranze anti governative e le loro azioni brutali di terrorismo (paradossale, eh?). Scatenare una campagna di Persia potrebbe essere purtroppo una delle ambizioni dell'ottusa "dottrina Bush", miope colpo di coda di uno tra i peggiori governi che gli USA abbiano mai avuto. Ed oltre a destabilizzare irrimediabilmente l'intero medio oriente, a rendere ancora più difficili i rapporti tra oriente ed occidente, ed ad andare incontro ad un disastro militare di proporzioni mai viste dalla superpotenza d'oltreoceano (l'Iran ha il doppo degli abitanti ed il triplo del territorio dell'Iraq, e confina con questo oltre che con l'Afghanistan), l'eventuale guerra probabilmente finirebbe per creare una insanabile frattura tra gli Stati Uniti e le altre due superpotenze mondiali, Russia e Cina.
La difesa dell'epoca di pace e prosperità che l'Europa sta vivendo dalla fine della seconda guerra mondiale potrebbe passare, 2500 anni dopo le guerre tra grecia e Persia, per gli altipiani tra il Caspio ed il Golfo Persico.

Analisi sulla situazione, in italiano ed inglese, dal Corriere della sera, dalla BBC, dal Tehran Times, e da Al Jazeera
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/02_Febbraio/25/iran.shtml
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=019
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=7
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=13
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=14
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=15
http://www.tehrantimes.com/Description.asp?Da=2/25/2007&Cat=2&Num=17
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/country_profiles/790877.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/6394387.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/6392287.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/6378765.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/6122412.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/4617398.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/3362443.stm
http://newsforums.bbc.co.uk/nol/thread.jspa?threadID=5603&&edition=2&ttl=20070225135036
http://english.aljazeera.net/NR/exeres/C4C3D080-F67E-4495-9218-F5825690E4EF.htm

Feb 16, 2007

NEWS: la fine del regno per John Howard, il signore del Pacifico

Barack Obama è la nuova faccia della politica americana: nero ma rassicurante per i bianchi, colto, comunicativo, carismatico; è anche il primo serio candidato democratico ad assumere posizioni più vicine all'opinione pubblica mondiale, contro la guerra in Iraq. E proprio queste posizioni gli sono valse un attacco da parte di uno degli alleati più fedeli dell'amministrazione neoliberal repubblicana, cioè John Howard, primo ministro dell'Australia, che lo ha accusato di favorire così il terrorismo. La mossa dell'uomo forte di Camberra, 67enne al potere da 10 anni, potrebbe però diventare un clamoroso autogol. La posizione dell'Australia è sempre stata quella di superpotenza regionale, arbitro delle questioni politiche della miriade di piccoli stati arcielago componenti l'oceania, ma lo sforzo economico necessario a questa politica, unito a quello per la gestione dell'immigrazione e dei rifugiati, per i quali l'isola ha sempre rappresentato un forte polo d'attrazione per la propria capacità d'assorbire lavoratori, stanno diventando argomento principale di dibattito nella terra dei canguri.
Papua ha da pochi anni risolto il duro conflitto contro la separatista e ricca provincia di Bougainville, che ha causato centinaia di migliaia di morti e innumerevoli rifugiati, e continua a vivere in condizione di estrema precarietà economica, con oltre l'80 percento della popolazione che vive in condizioni semiprimitive, senza istruzione e senza nemmeno utilizzare il denaro; Fiji ha appena vissuto un colpo di stato su linee etniche, che ha portato al potere l'esercito a difesa della componente etnica polinesiana; Tonga vive dal 2005 una situazione di alta tensione a seguito delle pressanti richieste di democratizzazione alla monarchia; e le isole Salomone continuano ad essere insanguinate dagli scntri tra milizie etniche che dal 1998 rendono la crisi una questione che investe l'intera regione, e che le truppe di peacekeepers di Camberra non riescono a fermare nonostante lo sforzo economico profuso.
In questo scacchiere, l'Australia ha bisogno di occuparsi della stabilità e dello sviluppo economico di questi stati, per evitare di dover affrontare afflussi massicci di rifugiati come già al tempo dei boat-people dall'indocina, e per poter avere un mercato vicino capace di assorbire parte dell'export australiano.
Ma l'intransigenza politica dell'amministrazione Howard sta portando il paese incontro a critiche sempre più feroci sia da parte dei piccoli vicini sia da parte dell'altra potenza regionale, la Nuova Zelanda. Proprio in questi giorni Howard è stato accolto a Wellington da massicce manifestazioni di protesta contro la posizione australiana in Iraq, e viene costantemente bersagliato sia in partia sia all'estero da quella pressione che vediamo George Bush dover affrontare ad ogni occasione ufficiale.
In più si stanno levando sempre più forti le critiche da parte degli stessi leader degli stati del pacifico, che accusanodi violazione della sovranità la politica australiana di controllo e polizia nelle crisi: Michael Somare, il padre della patria a Papua ritornato dal 2002 alla presidenza nazionale, ha recentemente attaccato la politica estera australiana in quanto incapace di tener conto delle realtà locali in cui agisce, e quindi non efficiente nella gestione delle crisi: posizione comune anche al governo delle Salomone, e accuse che ricordano molto quelle dirette all'amministrazione repubblicana in USA.
Inoltre, molte violazioni di diritti umani negli stati isolani sono passate inpunite, come la chiusura del giornale Kele'a a Tonga a seguito delle manifestazioni violente per la democrazia nell'isola, o le torture dei pescatori di Papua da parte dell'esercito indonesiano a causa dei diritti di pesca del bacino circostante l'isola, intaccando gravemente la validità della pretesa australiana di giustificare la propria politica estera con la necessità di sostenere la democrazia e la good governance.
Chiaro quindi come in questa situazione, in particolare quando il tempo dei falchi sembra finito a Washington, in un paese con una ampia percentuale di popolazione giovane che viaggia moltissimo, e in un contesto economico mondiale dove per ragioni geografiche sono proprio l'Australia ed il Giappone a subire maggiormente la concorrenza della nascente superpotenza cinese, la presa di posizione di Howard potrebbe segnare, con le elezioni alle porte, il tramonto della linea dura anche nella Land Down Under.

qui i profili delle principali nazioni in oceania, in inglese dalla BBC:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/country_profiles/1250188.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/country_profiles/1136253.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/country_profiles/1249307.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/country_profiles/1300477.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/country_profiles/1246074.stm
qui, sempre dalla BBC, un profilo del permier australiano
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/1883547.stm
e qui notizie varie d'attualità sull'area pacifica, da BBC, ABC Australia, Scoop NZ e postcourier Papua NG.
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6361361.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6353009.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6079494.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6076062.stm
http://www.abc.net.au/news/newsitems/200702/s1849017.htm
http://www.abc.net.au/news/newsitems/200702/s1849875.htm
http://www.abc.net.au/news/newsitems/200702/s1849079.htm
http://www.scoop.co.nz/stories/WO0702/S00271.htm
http://www.scoop.co.nz/stories/WO0702/S00213.htm
http://www.postcourier.com.pg/20070216/news02.htm

Feb 11, 2007

NEWS: Elezioni in Turkmenistan

Oggi i turkmeni scelgono il successore del "Turkmenbashi", padre della patria, Saparmurat Niyazov. Colui che è stato padre padrone della nazione, unico depositario del potere dal 1985 fino al 21 dicembre del 2006, è morto lasciando dietro di sè una struttura che non prevedeva alternative al suo culto della personalità, e quindi non prevedeva l'esistenza di figure che potessero offuscare l'autorità centrale o dividerne anche solo in parte il potere. Così i candidati alle seconde elezioni che il Turkmenistan vedrà nella sua storia sono figure poco note alla popolazione, governnatori locali, sindaci, o membri della burocrazia. Il risultato è che il vincitore sarà, in maniera del tutto prevedibile, Gurbanguly Berdimuhammedow, attuale acting president e candidato favorito dalla ristertta cerchia al potere. Come nel '92 ci si aspetta un plebiscito di proporzioni sovietiche, e certamente la decisione di non accettare commissioni indipendenti per verificare la correttezza di svolgimento delle consultazioni è indicativa dello stato delle libertà sociali e politiche nel paese, penultimo nella graduatoria di freedom in the world.

PROSPETTIVE: il Turkmenistan, 2mil. abitanti in un territorio ricco di gas e petrolio ma totalmente occupato dal deserto del Kara kul, è strategicamente la pedina più importante nel nuovo Grande Gioco per l'Asia centrale: sia la Russia sia gli USA hanno interesse nelle fonti energetiche della regione e nel crearsi alleanze in un'area geograficamente cruciale per il management dell'intero medio oriente, e il Turkmenistan ha in più lunghi confini comuni con l'Iran e l'Afghanistan. Di qui inoltre potrebbero passare gli oleodotti ed i gasdotti in grado di trasportare idrocarburi dal centro dell'Asia al mar Nero e alla Turchia evitando Iran, Siria e Russia. Si spiega quindi l'indulgenza della comunità internazionale verso il dispotismo di Ashkabad, verso quello che, salvo inattese virate riformiste e democratiche, rimane il più compiuto esempio di totalitarismo che la storia ricordi, paragonabile soltanto al regime coreano di Pyongyang. E dovrebbe essere sufficiente a spiegare perchè questo pezzo d'Asia rimasto sempre fuori dalla storia, governato da bizzarri dittatori dal nome inpronunciabile sia di assoluta importanza nelle attuali questioni geopolitiche. Soprattutto è un buon esempio di notizia ignorata dai circuiti mediatici ufficiali nonostante la rilevanza effettiva, dimostrazione della vitale necessità di sviluppare una curiosità in grado di superare la superficialità imposta dai media contemporanei.

qui analisi delle elezioni turkmene in inglese dall'agenzia ferghana.ru:
http://enews.ferghana.ru/article.php?id=1823
http://enews.ferghana.ru/article.php?id=1827
qui due analisi da radio free europe sulle prospettive del paese, in inglese:
http://www.rferl.org/featuresarticle/2007/02/78707CDF-3E78-4DBB-B453-F367A7A4969A.html
http://www.rferl.org/featuresarticle/2007/02/782B1294-8B66-476A-9FD2-23FCC48D78A7.html
e qui un profilo di niyazov da wikipedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Saparmurat_Niyazov

Feb 9, 2007

NEWS: Colloqui sul nucleare nordcoreano

A pechino si sta svolgendo il vertice a sei sul nucleare nordcoreano che, iniziato giovedì 8 febbraio, vede sedere al tavolo i rappresentanti di Cina, Stati Uniti, Corea del sud, Russia, Giappone e naturalmente Corea del Nord.
Questo nuovo round di colloqui è accompagnato dall'ottimismo dei delegati, in particolare nelle parole di Condoleeza Rice e della delegazione americana. L'obiettivo del vertice è di disarmare il regime nordcoreano, che si stima possieda già armamenti atomici ma che non ne abbia piccoli a sufficienza per essere innescati sulle testate missilistiche. Si cercherà di sfruttare la carestia che ha colpito la Corea del nord, e che probabilmente sta provocando decine di migliaia di morti per fame, offrendo aiuti umanitari sempre più ingenti in cambio dell'accordo alla rinuncia nucleare.

L'ONU raramente ha preso una posizione così univoca nella gestione di un'emergenza, grazie alla convergenza di massima degli interessi degli stati più coinvolti nella questione: nonostante questo i vertici a sei precedenti non sono mai riusciti a raggiungere un accordo tale da costringere realmente il regime coreano a procedere nel disarmo, senza ripensamenti e voltafaccia. Il fallimento dei verici precedenti è sempre giunto nel momento in cui, per ragioni strategiche, Pyongyang ha interrotto le trattative o rifiutato i termini di accordo raggiunti in precedenza, ritornando alle minacce. Il punto è che la Corea del nord vive nell'isolamento, rotto il quale il regime sarebbe destinato ad una tragica e probabilmente immediata caduta: Seoul mira ad una riunione della penisola ma, spaventata ddal precedente tedesco, ha paura che se questo avvenisse a seguito del collasso del nord l'intera economia nazionale ne verrebbe colpita; Giappone, USA e Russia hanno principalmente interesse il risvolto militare del problema, e Pechino vede la Corea del Nord come parte naturale della propria sfera di influenza, dove per esempio delocalizzare le proprie fabbriche, per ridurre i costi della manodopera. In questo scacchiere si arriva al paradosso che smaschera la poca lungimiranza delle politiche basate sul buonismo: gli aiuti umanitari per la popolazione diventano arma di ricatto da parte di Pyongyang, fonte anelata di risorse per uno stato economicamente collassato, che cerca solo di mantenere il proprio autocratico sistema. In realtà chiunque voglia esportare una società civile fatta di democrazia, ong ed aiuti alla popolazione dimostra poca conoscenza della intricata realtà della regione, e di fatto favorisce unicamente il drammatico status quo, dove la minaccia armata nucleare è merce di scambio e autogiustificazione del governo nordcoreano. Forse invece, per l'occidente, accettare il sacrificio geopolitico dell'influenza sulla Corea del nord del futuro, e favorirne lo sviluppo economico senza imporre in parallelo quella democratizzazione che è la nemesi della sua leadeship, porterebbe a ridimensionare la minaccia proveniente dallo "stato eremita".

Qui i link ad alcuni articoli sull'argomento, in inglese della BBC e del People's Daily (quotidiano cinese ufficiale del partito)
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6052178.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6340157.stm
http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/6344819.stm
http://english.people.com.cn/200702/09/eng20070209_348800.html
e qui il link al podcast di "alle 8 della sera, Chung-Kuo" di Federico Rampini: la puntata 19 parla di Corea del Nord
http://www.radio.rai.it/radio2/podcast/lista.cfm?id=1030
 
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