Jan 28, 2007

Diari russi - Viaggio in Russia ottobre/novembre 2006

Siberia, che nome! In russo viene forse da sibir, nord, e gia' a sentirlo vengono brividi, compaiono avanti agli occhi immagini di sterminate distese ghiacciate spazzate dal vento, di clima inospitale che rende la gente coriacea ed introversa, di litri di vodka che scorrono per scaldare quel poco che permette di sopravvivere.
Ed in effetti questa incredibile immensita' di vuoto che si stende alle spalle della civilta', che la minaccia con la sua opprimente massa come una glaciale Mordor, difficile da afferrare con lo sguardo e col pensiero, corrisponde almeno in parte alla cartolina stereotipica che abbiamo generalmente in mente. Ma sotto il permafrost del clima si stende, come la colonna vertebrale sotto la pelle, l'anima stessa della Russia, la sua grandezza e forza, la sorgente dello spirito del paese che da solo copre un sesto delle terre emerse.
Lo spirito russo, intrecciato alla storia mai come qui, ha qui trovato la sua nuova frontiera, il proprio far west, la direzione principe di catalizzazione degli sporzi di un popolo.
Al contrario della colonizzazione delle nuove terre americane, la terra stessa ha qui difeso le genti autoctone, in quanto dominare queste terre significa solo costruire avamposti, rendere possibile la comunicazione, facilitare la vita dei coloni quel tanto da renderla possibile.
Ulan Ude e' la porta della Siberia dalle steppe mongole, ed in effetti appariene piu' a queste ultime che allo sterminato e glaciale nord: e' una bella, vivibile e monotona citta', adagiata lungo due dei numerosissimi fiumi che solcano la steppa, ed e' capitale della repubblica di buriazia, una popolazione mongola che tuttora lascia ai russi i bassi condomini e le case di legno decorate da merletti intagliati della capitale, per trovare rifugio nelle campagne, a contatto con quella terra che per le genti nomadi mongole e' insieme anima, ragion di vita e fonte essenziale di sostentamento.
La testa di Lenin piu' grande al mondo fa capolino, nera ed intirizzita nella brina mattutina, tra le bianche betulle, ormai rosse e dorate,  che demarcano la prosecuzione di ulitza lenina attraverso la piazza centrale della citta': niente in fondo e' cambiato, almeno qui, periferia eterna di un impero che vive della linfa di questi posti ma dove non c'e' spazio per il campanilismo, perche' e' solo dal centro che si puo' reggere una struttura cosi' gigantesca e fragile.
 
Il nero della notte, nonostante ci si avvicini alla luna piena, viene rotto solo da cumuli di neve che il forte vento sbatte contro i finestrini dello scompartimento, dove per assurdo non si riesce a dormire con la coperta addosso. Sembra che il treno stia attraversando un'immensita' infernale mitologica, protetto dalla furia dei demoni di fuori solo finche' continua a procedere costante.
Le luci dell'alba, fioche, illuminano le basse case in legno che si stendono come un tappeto ai due lati del fiume, chiazzate di neve. Tra esse spuntano le guglie colorate a cipolla delle imponenti chiese ortodosse, a quest'ora come tetre fortezze, ancora non alleggerite dalle splendide e colorate decorazioni che le tapezzano. I vecchi tram sovietici ti trascinano attraverso la citta' al risveglio, attraverso strade in terra battuta e splendidi quartieri di case siberiane, con un fascino decadente dell'intonaco a colori pastello che non e' scrostato dall'incuria e dalla mancanza di manutenzione, ma dal ghiaccio e dalla neve, che lo frantumano, lo venano, lo sbiadiscono, donandogli il fascino della patina d'antico.
Attraverso i viali di Irkutsk passeggiano, incuranti del vento sottozero che spazza la citta', splendide ragazze russe dagli occhi color del riflesso del cielo invernale sul ghiaccio, dai lineamenti perfetti, dall'innata grazia ed eleganza. Con loro, dondolanti procedono le babushke, con il capo protetto da colorati foulard, e le robuste corporature accentuate ulteriormente dai pesanti giacconi invernali di pelliccia. Il fascino della Siberia e' questo: la glaciale pulizia della natura, la durezza che tempra i caratteri ed umanizza le relazioni, insegnando a capire l'essenzialita' e semplicita' delle cose, e la giovialita' della gente, che chiede solo un pretesto per affiorare, qualsiasi pretesto, per dimostrare che si, la vita qui puo' essere dura, ma quello che conta e', come ovunque, l'approccio che ciascuno ha ad essa.

Il Bajkal, con la sua stupefacente massa d'acqua, rappresenta uno dei pochi posti al mondo con ancora un ecosistema intatto, ulteriormente arricchito da una varieta' assolutamente unica di specie animali e vegetali, in particolare pesci.
L'anima russa e' fortemente legata alla natura, da quando i cosacchi ed i coloni iniziarono la conquista dell'inospitale estremo oriente nel nome dello zar, ed ancora prima considerando lo stile di vita quasi unicamente contadino della Russia europea. Questo legame con la propria terra, che e' diverso dalla cocienza ecologica occidentale, piu' radicato a fondo nel comportamento della gente, ma allo stesso tempo piu' idealistico e romantico, e quindi meno vincolante dal punto di vista dei fatti, porta i russi a migrare in massa verso le proprie dacie di campagna nei fine settimana, per poter vivere negli amati recessi delle foreste di betulle. E qui viene vissuto, in autunno, uno dei rituali piu' coinvolgenti, quasi religiosi: la ricerca dei gripky, i funghi, che tutti qui adorano. Questi ritorni alla natura, che e' quanto di piu' bello ci sia in questo immenso paese, si fanno particolarmente forti in un luogo come il Bajkal, cosi' incredibilmente bello nella sua algida compostezza, nel colore intenso delle sue acque, che permettono di vedere in trasparenza fino a diverse centinaia di metri; i russi sono orgogliosi di questa splendida perla, e non perdono occasione per descriverla affascinati ai turisti di passaggio, che siano stranieri o loro compatrioti. E non si porta' lasciare questo posto senza prima essersi sentito ripetere diverse volte che il lago ha la maggior quantita' d'acqua potabile al mondo, ben il 25% del totale nel pianeta, e che le bottiglie di Bajkala voda, l'acqua piu' popolare qui, sono riempite direttamente con acqua del lago pescata a 400 mt di profondita', senza necessitare di nessun processo di purificazione.
E' questo senso di essere tuttuno con la natura che accomuna piu' di tutto i russi di qualsiasi classe sociale e qualunque momento storico, dai contadini ai nobili decabristi esiliati in Siberia, ai militari cosacchi, alle minoranze etniche; cosi' in un certo senso, le antiche basi del sempre forte nazionalismo russo, ovvero la religione e l'amore per la propria terra, riescono nell'unire questo popolo, ovvero riuscendo dove lo stesso comunismo, seppur proponendoselo come obiettivo principe, ha fallito
 
Ieri sono andato al circo. Il circo russo, tradizione che si perde nella storia dei popoli slavi, rappresenta una delle arti piu' amate e raffinate del paese; insieme all'opera ed al balletto, e' parte di quel gruppo di arti centrate sul dinamismo del corpo e la perfezione dei movimenti, che uniti alla forte carica emotiva dei gesti, delle trame, delle musiche, raggiungono un pathos ed una raffinatezza incredibile. Gli acrobati ed i contorsionisti si esibiscono in numeri di grande difficolta' ed agilita' con un dinamismo ed una fluidita' che diventano tuttuno con gli sgargianti ed estremamente curati costumi e con le musiche, rigorosamente composte per assecondare e seguire il gesto atletico dell artista.
Mi sono ritrovato a seguire meravigliato queste evoluzioni, la bocca spalancata come il bambino di non piu' di 2 anni seduto di fianco a me: lo stesso bambino che all'inizio dello spettacolo, guardando stupefatto la piscina da dove a breve sarebbero sbucate le agili danzatrici che incoronavano l'artista centrale, dice alla nonna, come in tutto il mondo immancabile compagna dei bimbi al circo: "djadja, more!" (nonnina guarda, il mare!). E lei, con voce dolce, di chi forse il mare non ha mai avuto la possibilita' di vederlo dal vero, risponde "Da, more".

Krasnoyarsk, adagiata sulle placide acque dello Jenisey, si srotola lungo i suoi bei corsi centrali, adorni di palazzi ottocenteschi brillanti nei vividi colori usati nell'architettura siberiana, risplendente nei colori dell'autunno, e baciata da un tiepido sole invernale; invoglia a passeggiare senza meta tra le sue strade, accompagnato dalla musica classica diffusa dagli altoparlanti che ripetevano i bollettini e gli slogan del partito.
La Siberia, nonostante l'incombente ombra di un retroterra asiatico, progenitore di tutte le genti capaci di sconvolgere le civilta' europee e mediorientali, e' indiscutibilmente una terra europea, seppur geograficamente lontana dal cuore pulsante del continente, e nonostante non ne condivida le ingentilenti condizioni di vita.
Ma al contempo e' specificatamente russa, e' l'anima antica di questo paese, che ne trae enormi ricchezze ed autorita'.
 
L'aquila bifronte zarista, simbolo dell'ortodossia adottato come emblema del paese, con le ali fieramente alzate a simboleggiare l'invincibilita', passa qui in secondo piano nella definizione del rodina, l'identita' nazionale tipicamente russa, legata come solo qui puo' essere indissolubilmente alla propria terra madre, progenitrice, origine dell'orgoglio e delle difficolta' della dura vita quotidiana.
E' questa intraducibile rodina che tutti i governi autocratici hanno sempre voluto far propria, identificando via via l'impero o il partito con questa atavica sorgente di nazionalismo ed identita' nazionale, che rende i russi invariabilmente fieri di essere tali e convinti della purezza della propria terra e cultura.
Qui, tra le infinite distese di neve e betulle, tra i placidi ed ampi corsi d'acqua che allagano la pianura, e' il bianco leone siberiano ad esseere simbolico portatoredel rodina della gente: troppo lontana dai palazzi imperiali, che spesso non si sono curati degli abitanti di queste terre, ma le hanno colonizzate con la crudezza della coercizione o attraverso l'estremo idealismo.
Il leone, che ha in se' la fierezza, caparbieta', onesta' morale e determinazione, e' una specificazione dell'anima russa adattata alla realta' locale di duro lavoro e dura vita: fluttuante tra un'innata propensione alla liberta' ed autodeterminazione, riemersa dopo il crollo dell'impero sovietico in risposta agli scarsi benefici che queste terre ricevono in cambio delle proprie risorse, e tra l'indiscussa e sentita adesione all'identita' russa, collante di tutte le genti slave ad est di Minsk.

La lingua russa conserva strutture indoeuropee presenti negli idiomi antichi del continente, dal latino al greco all'aramaico e le lingue norrene, che le donano una capacita' espressiva ed un'accuratezza sacrificate dalle lingue moderne continentali lungo un percorso che le ha portate verso una continua semplificazione ed efficacia comunicativa.
Cosi' come in tedesco, il russo esprime con singole parole concetti complessi, con forte connotazione filosofica, spesso difficilmente traducibili; ma, al contrario della lingua di Goethe, si esprime in parole singole, non unendo diversi concetti per formare parole composte.
Piu' di ogni altra lingua, e' essenziale per capire la mentalita' di cui e' fortemente impregnata, ed e' una chiave indispensabile per capire la gente ed i luoghi attraversati.
Il prastor e' un'altra di queste esplicitazioni del pensiero russo, e come il rodina e' difficilmente traducibile: rappresenta la sensazione composta di libetra' totale e spaesamento che si prova ad essere circondati da immensi spazi selvaggi, da una terra infinita e spesso con pochi o nessun punto di riferimento; un dizionario lo tradurrebbe con "spaziosita'", ma mancherebbe di cogliere il fondamentale rapporto di proporzioni tra l'uomo e la terra, ed il legame di sangue che li lega
Gli stolv sono rocce antiche, modellate dai ghiacci e dall'acqua in sinuose forme di arrotondati pinnacoli, che svettano tra la fitta foresta che avvolge Krasnoyarsk. Mi inoltro nel parco di Stolvy con Slava, faccia tonda ed occhi chiari. L'ho incontrato sull autobus che dal centro arriva all'ingresso del parco, e, come qualunque russo, soddisfa subito la sua curiosita' nel vedere uno straniero iniziando gentilmente a chiacchierare; cosi', appena gli dico che sto dirigendomi verso la riserva a scattar foto, decide di accompagnarmi.
Sulla quarantina, con la classica corporatura robusta di muscoli passivi dei russi, oggi non lavora e stava andando a casa dei suoceri, ma l'occasione di conoscere uno straniero fa passare tutto in secondo piano. Ci incamminiamo lungo il sentiero che sale verso il centro del parco, inoltrandoci tra betulle e abeti che hanno gia' ricoperto il terreno innevato con le colorate foglie autunnali. Slava si interessa di foto, mi racconta della sua Zenith con teelobiettivo, e si inorgoglisce quando gli dico che uso anch'io una macchina come la sua.
Il suo russo e' piuttosto biascicato, e all'inizio fatico a capirlo, ma sorridendo continua a raccontarmi della sua famiglia; poi parliamo del clima siberiano, di come ora sia paragonabile all'inverno dalle nostre parti, e non senza orgoglio mi spiega di quanto sia splendida e pulita questa terra con la neve (alche' faccio notare che la neve in effetti c'e' gia', ma lui sottolinea che neve e' solo quella che arriva almeno alla vita).
Sprofondando con le scarpe nel terreno imbiancato, saliamo fino in vetta ad uno, poi due poi ancora altre rocce, ed ogni volta il panorama dell'immensita di intatta foresta, che si estende nei colori autunnali fin dove arriva lo sguardo come un tappeto tartaro sotto di noi, e' da mozzare il fiato.
Il suo viso si illumina ogni volta che incontriamo tracce di animali slvatici, e con la bonarieta' di un padre che porta il figlio a spasso continua a darmi consigli su dove il passaggio e' piu' stabile e meno ghiacciato: si muove con la sicurezza e l'agilita' di uno nato in questi posti, ma la natura siberiana e' tanto splendida quanto selvaggia, e qui come in montagna e' sempre la natura che comanda, e che puo' riservare pericolose trappole.
Cosi', la valle curva, il fiume si divide, gli alti alberi ci coprono la vista ed i punti di riferimento, il sentiero si perde nella neve.
Alla ricerca di una via d'uscita da questo labirinto di legno, seguiamo l'unica possibile via, il corso dell'acqua, che certamente si dirige verso lo Jenisey e la citta'.
La luce del sole pomeridiano fa capolino tra le nubi che ricoprono come un manto la foresta, incendiando le brillanti foglie dorate. La marcia procede, ora dopo ora, difficoltosa e stancante, lungo l'argine che si perde tra lastre di ghiaccio, cumuli di neve, selve di tronchi crollati sotto il peso dell'inverno ormai in arrivo.
Davanti a noi, lo spettro della sera, della gelida notte siberiana, e della claustrofobica ed infinita foresta, solcata a valle da rigagnoli che si incrociano ed ingrossano unendosi, sulla via per il grande fiume. E poi colline, innumerevoli e ricoperte di foresta, una dopo l'altra e sempre lontane, che confondono la via.
Nella mia mente si fa strada l'immagine di un fuoco, acceso nonostante la terra gelata, per combattere il freddo della notte: ma il mio accendino cinese si rompe, eliminando cosi' questa consolante prospettiva.
Poi sempre avanti, spinto dall'irrequietezza, dal timore di veder sparire la gia' fioca luce sopra gli alberi, dalla testarda volonta' di di prendere il treno che mi aspetta nel cuore della notte per portarmi un passo piu' avanti lungo la strada verso ovest.
Slava inizia a barcollare, provato piu' di me dalla fatica, e devo spingerlo con un misto di incoraggiamento e spietatezza lungo l'argine. Ogni tanto, sollievo morale ancora piu' che fisico, un sottile sentiero appare, per poi perdersi quando un altro fiume attraersa la via per gettarsi sotto il ghiaccio ed i tronchi nelle acque sempre piu' ingrossate.
E' al tramonto che raggiungiamo il climax della nostra avventura: l'ultima luce si perde tra i rami degli alti alberi, il sentiero si smarrisce per l'ennesima volta nella radura, e Slava si accascia tra gli arbusti, esausto, sordo al mio spronarlo: accende una sigaretta, poi mi chiede di portargli dell'acqua, che prendo sotto il ghiaccio che ricopre il fiume.
Dopo che il mio tentativo di rimetterlo in marcia sembra avere successo, vinto dalla durezza del cammino sul lungofiume, con i suoi arbusti e tronchi ad ostacolare l'avanzata, si perde nel buio, senza rispondere alla mia voce quando lo chiamo.
Ormai la mia mente, obnubilata dal freddo che sale dai piedi fradici, e' concentrata testardamente su quel biglietto che ho in tasca, e non mi lascia provare che il desiderio di sbucare finalmente fuori dalla foresta. E continuo, inciampando mille volte nella neve, cadendo esausto almeno in due occasioni, con la paura di ferirmi e quindi di non essere piu' in grado di proseguire.
Poi, come un miraggio, il sentiero riappare, appena marcato nell'erba fradicia di neve, e lo seguo, fino ad incontrare una istba (casa di legno nella foresta), poi una traccia di pneumatici, poi il cancello del parco, poi un villaggio con alcune finestre illuminate ma deserto, dove nessuno risponde al mio chiamare.
E ancora avanti, fino ad icontrare una ragazzina, che mi accompagna alla ricerca di un telefono per segnalare l'emergenza. Ma tilefon njet e' la risposta, d'altronde questo non e' altro che un piccolo villaggio di contadini, lontano da tutto, dove la vera durezza della Siberia si combatte solo riparandosi nella propria casa appena finisce il giorno.
Quindi verso la strada, a cercare un passaggio verso la civilta', e sopratutto con in testa Slava, lasciato indietro nella notte.
Il checkpoint della militzia, riscaldato dalla stufa elettrica, e ' la fine della paura. Il poiziotto, piu' giovane di me e due volte piu' grosso nel suo giubbotto antiproiettile, si fa spiegare la situazione con flemma poi, sempre gentile ed affabile, annota minuziosamente tutti i miei dati, compreso il numero del mio biglietto del treno, e quasi dimentica di trascrivere i dati di Slava: sembra chiaro che dovra' cavarsela da solo.
Poi, sempre con flemma, comunica via radio a un qualche comando le informazioni, soffermandosi sul fatto che si, parlo russo, che ho con me una macchina fotografica: informazioni e dati che iniziano il loro probabilmente lungo cammino burocratico, prima di raggiungere qualche scopo.
Poi ferma un taxi, mi ringrazia ed avvisa sul prezzo corretto da pagare per arrivare in centro, mi saluta con cortesia con una pacca sulla spalla.
Solo nel tragitto mi rendo conto degli oltre 40 km percorsi nella foresta, e delle 14 ore spese a cercare la via d'uscita dagli alberi.
Ormai e' tardi, il treno mi aspetta con la promessa di una notte di sonno profondo al caldo, allontanandomi da questa incredibile avventura di un autunno siberiano, che sfuma nei sogni della notte.
Non so ne' forse mai sapro' che ne e' stato di Slava, mio compagno di una passeggiata nel parco.

La tempesta di neve spazza i finestrini del treno, ed imbianca il mondo fatato di case di legno tra le betulle degli sperduti villaggi lungo la ferrovia. Tomsk, la raffinata capitale universitaria della Siberia, si avvicina, per scelta lontana dal tracciato principale della transiberiana, scelta che ne ha preservato la bella atmosfera ottocentesca, ma che ne ha anche decretato il declino economico fino al momento in cui l'Unione Sovietica ha nuovamente sentito il bisogno di ricostruirsi una classe intellettuale ed istruita.
Le vie della citta' sono percorse in continuazione da gruppi di giovani alla moda, e punteggiate da caffe', ristoranti e locali, piacevoli luoghi d'incontro e di rifugio dal freddo.
Dopo una cena a base di zuppa di cetrioli con panna acida e bistecca d'orso, e dopo essermi riparato dal freddo in un accogliente e frequentato caffe', mi avvio insieme a Daniel, amico inglese conosciuto sul treno, verso l'autobus che ci riportera' all'hotel. La grande e vuota piazza del parlamento e' spazzata dal vento gelido e sporcata di neve, e non si vede il cartello, normalmente appeso, che indica la fermata.
D'un tratto da una macchina nera con finestrini oscurati mi sento chiamare: mi avvicino, due ragazzi siedono dentro, entrambi in divisa mimetica e di grossa corporatura, uno biondo e tipicamente russo, l'altro probabilmente georgiano, dai capelli neri, occhi scuri e pelle abbronzata.
"Polizia", mi dicono "sali in macchina": fingo di non capire, glisventolo davanti una cartina del centro citta' ed in inglese chiedo dov'e' la fermata dell'autobus; spiazzati dal problema lingua, intimano di nuovo ad entrambi di salire in macchina, a gesti e parole singole.
Sono in arresto. "Stavi pisciando nel arco, questo e' parlament, president, yes?" No, cercavo la fermata dell autobus. "non c'e' autobus adesso, dakument. Dove andate?" In hotel, se possibile... "come?" ci hanno detto che c'e' un autobus diretto da qui, che viaggia tutta la notte. "aftobus njet. Taxi." Bene, allora prendiamo il taxi. Possiamo andare? "No. i soldi per il taxi li avete? si? allora perche' cercate l'aftobus? Avete bevuto? Narkotika?" no, no, solo una birra dopo cena.
La voce del georgiano si alza sempre di piu' ad ogni fallito tentativo di comunicare: parla solo e soltanto russo, ma almeno il suo collega una o due parole chiave in inglese le conosce. E io continuo a rifiutarmi di parlare una parola di russo.
Il nostro momentaneo arresto non si prolunga, come minacciano piu' volte i due, principalmente grazie alla mia insistenza a chiamare l'ambasciata per avere un interprete, unito al fatto che evidentemente l'unica reale causa del fermo e' la noia dei due per la notte di pattuglia.
Di colpo appaiono sorrisi sui loro volti, e si trasformano in bonari amicono, arrivando a proporre di andare a bere qualcosa insieme. "ma siete in servizio, non potete bere!". "Si che possiamo, siamo poliziotti russi!" "vabbe', ma noi siamo vostri ospiti, quindi pagate voi, giusto?" "ehmm, giusto."
E cosi' finiamo la serata in un locale di videopoker quantomeno non impeccabile, a bere caffe' e cocacola (entrambi siamo diventati improvvisamente astemi) pagati dai due, prima di salire ancora increduli sul taxi che ci riconduce in albergo.

Tyumen, o meglio Gazpromland, e' il capoluogo della regione piu' ricca di petrolio dell'intera federazione, sede di numerosissime filiali del gigante dell'energia russo, la Gazprom appunto, che per intenderci e' quella che l'inverno scorso ci stava per lasciare senza gas.
La citta' conserva, in centro, un certo charme, anch'essa con edifici ottocenteschi ed architettura lignea tradizionale siberiana. Nel parco centrale, maggiore attrazione della citta' insieme alla cattedrale dalle cupole a cipolla dorate, sta un grosso parco divertimenti, con le attrazioni costruite in un bizzarro miscuglio di realismo sovietico, design orientale ed art nouveau.
Da qui vado alla vicina Tobolsk, provincialissima quantomeravigliosa perla siberiana, con il piu' bel cremlino al di la' degli Urali, e la citta' vecchia che si adagia ai suoi piedi, in un'ampia valle coperta di foresta sullo scosceso e pittoresco argine del fiume Irtysh.
Tobolsk e' l'immagine della mancanza di alternative di questa regione allo sviluppo industriale, insieme dannazione ed unica risorsa per la Siberia.
Un tempo centrale e benestante stazione di posta sulla strada verso est, Tobolsk rinuncio' volontariamente alla transiberiana, temendone sconvolgimenti della pace e dell'ambiente provocati dal rumore e dall'inquinamento dei treni.
Al contrario di Tomsk, che pote' mantenere parte della propria importanza grazie alla presenza dell'universita', per Tobolsk la scelta ha significato l'isolamento e il declino, che forse nemmeno il turismo, seppur in crescita, potra' arrestare.
La citta' ora langue sonnolenta, con strade spesso non asfaltate, senza un vero centro ne' luoghi adatti a creare aggregazione e vita sociale.

Ci sono molti miti da sfatare a proposito di un viaggio in transiberiana.
Innanzitutto, contrariamente a quanto molti pensano, questa e' una linea ferroviaria, sulla quale corrono treni da e per ciascuna delle grandi citta', e quindi non esiste il "treno transiberiano".
Cio' che piu' ci si avvicina e' il n. 1/2 "ROSSIJA" da Mosca a Vladivostok, con i vagoni decorati nei colori della bandiera russa, il piu' veloce dei treni sulla linea, che impiega quattro giorni e mezzo dalla moscova al pacifico.
Il viaggio in transiberiana va fatto in plaskartny, la terza classe. questa, affatto scomoda, e' composta da vagoni senza scompartimenti chiusi, ma con dieci gruppi di sei letti disposti a quadrato attorno a due tavolini, attraversati dal corridoio centrale.
Di giorno i tre letti inferiori diventano sedili, e sopra o sotto ciascun letto vi e' lo spazio per (parecchi) bagagli di ciascun passeggero.
Traghettatore e autorita' indiscussa del vagone e' la povodnitza (conduttrice), quasi sempre donna, piuttosto avanti con gli anni, invariabilmente torva almeno all'inizio del viaggio, e spesso ornata da acconciature assolutamente imbarazzanti.
E' a lei che ci si rivolge per le lenzuola, per qualsiasi genere di sostentamento si desideri (ma la capacita' imprenditoriale, e quindi la gamma di scelta, varia grandemente da povodnitza a povodnitza), e per qualunque altra necessita', seguendo la regola che l'umore di costei e' inversamente proporzionale alla quantita' di necessita' di ciascun passeggero. E' lei che si fa carico della pulizia dei bagni e della loro chiusura e riapertura all'arrivo in stazione (e anche qui la qualita' puo' subire drammatiche variazioni), ed e' sempre lei che regola a piacimento l'accesso al vagone di eventuali venditrici ambulanti di cibi, abbigliamento, stoffe, kalashnikov.
Altro luogo comune solo parzialmente vero e' che non si poss trovare un momento di pace: se e' vero che i russi sono una popolazione incredibilmente socievole, che certo non perde tempo a fare conoscenza, chiacchierare amabilmente e scambiarsi vivande e sigarette, e' anche vero che il viaggio medio tra due citta' vicine dura circa 12 ore, per cui c'e' tempo e possibilita' di leggere, dormire, ascoltare musica tanto quanto di mangiare, bere e chiacchierare con la gente.
Allo stesso tempo non e' vero che il treno, nemmeno in terza classe, sia un luogo pericoloso, infestato di trafficanti d'armi ed ubriachi.
Il problema dell'alcolismo e' certamente drammatico in Russia, dove le statistiche dicono che i maschi bevono 10/12 volte di piu' rispetto alla media mondiale, tanto da ridurre l'aspettativa di vita degli uomini a soli 58 anni contro i 74 delle donne: 58 anni e' in linea con le peggiori medie africane.
Ma il treno, cosi' come la maggior parte dei luoghi pubblici bar inclusi, non e' il luogo di questo dramma, che si consuma ben piu' tristemente tra le mura domestiche, con tutto cio' che ne consegue.
Certo si vedono birre e, piu' raramente, vodka sui tavolini, ma non mi e' ancora capitato di vedere un solo ubriaco sul treno, dove tra l'altro c'e' sempre la polizia a garantire la sicurezza.
Gli orari della ferrovia seguono il fuso di Mosca in tutto lo stato, obbligando il viaggiatore all'esercizio mentale di ricordare due diverse ore senza confonderle, compito che puo' creare problemi sopratutto se il proprio treno parte nel cuore della notte. Il viaggio in transiberiana srotola in continuazione splendidi paesaggi di foreste dal finestrino, ma ne' questo ne' buoni libri possono fare molto contro l'inevitabile noia, per la quale l'unica vera medicina e' la socializzazione con i compagni di viaggio: indispensabile bagaglio piu' di ogni altro qui sono la conoscenza almeno base del russo ed un carattere socievole.

L'assasinio della giornalista Anna Politkovskaya ha colpito duramente l'animo del russo medio.
Abituati alla fatica della vita di ogni giorno, i russi da sempre vivono il malgoverno come una calamita' naturale, una durezza da sopportare e alla quale non ci si puo' opporre. Ma, allo stesso tempo, il loro innato e candido amore di patria li porta a considerare la propria terra come inabile al male, seppur govenata da persone moralmente discutibili o autocratiche.
Cosi', al tempo della guerra fredda. il russo medio non capiva la ragione che portava il resto del mondo a temerli, cosi' come adesso la posizione russa in situazioni discutibili come la guerra cecena e' spesso supportata sulla base della convinzione dell'incapacita' della nazione di compiere azioni malvagie.
Ma l'omicidio della giornalista, cosi' come fu per la diffusione del dossier del kgb sull'operato di Stalin, scoperchia un vaso di Pandora, e lascia il russo sconvolto, tradito nella propria fiducia, perplesso.
"Non capisco cosa sta succedendo", mi dice Pavel, con gli occhi in basso e l'espressione seria. Provo a sondare due strade, dicendogli che e' improbabile che lo stesso Putin sia responsabile dell'ordine di eliminarla, ma al contempo sottolineo che il passato del presidente e di buona parte della attuale classe dirigente nelle fila del kgb ha probabilmente lasciato il segno sulla gamma di strumenti che questi considerano leciti in politica.
La sua risposta e' franca e diretta, e risuona della mentalita' che porto' a stravolgere la Russia per creare l'homo sovieticus: "la mia generazione non puo' piu' creare il buon governo per il paese, e probabilmente non cedera' di buon grado il potere che ha in mano. L'unica medicina dei mali russi e' un ricambio generazionale completo, siamo nelle mani dei nostri figli, sono loro la nuova russia".
Il tempo e la mentalita' di un intero popolo da ricostruire. Ecco le sfide del prossimo futuro di questo paese.

Gli Urali, che segnano il confine geografico tra Asia ed Europa, scorrono via morbidi, niente di piu' di dolci colline a questa latitudine. poi si inizia a scendere nella depressione del Volga, ampia conca scavata dal bacino del piu' grande fiume europeo, che verso il Caspio segnera' alcuni dei punti piu' bassi sotto il livello del mare nel pianeta.
Questa fu la terra dell'orda d'oro, il regno mongolo che mantenne per piu' a lungo il potere dopo il disfacimento dell'impero dei khan. I tatari, da noi erroneamente e sarcasticamente tradotti tartari dal nome dell'inferno greco, hanno giocato una parte fondamentale nella storia dell'intera regione dal Caspio al mar nero, fino al Baltico.
Fu Alexander Nevsky, verso la meta' del XIII secolo, il primo a provare a disinfrancare i principatii russi dal dominio tataro, ma si dovra' attendere l'avvento di una delle piu' affascinanti figure della storia russa per vedere soddisfatto questo desiderio indipendentista.
Dal 1530 alla fine del secolo sul trono di Russia, primo a fregiarsi del titolo di Tzar, e' Ivan il Terribile, in russo Grozny Ivan (i piu' attenti osservatori non mancheranno di cogliere l'omonimia con il nome della capitale cecena).
Eisenstein, negli anni venti, oltre alla celebre corazzata Potemkin annovera tra i propri capolavori un mastodontico film in due parti sulla vita di Ivan, in un incredibile (o noiosissimo, dipende dai gusti...) realismo socialista misto a sperimentazioni ardite di montaggio e fotografia eroica.
Il nostro Ivan, ben meritando il proprio appellativo, rase al suolo i khanati di Kazan ed Astrakhan, vere e proprie capitali tatare, edificando la cattedrale di San Basilio a Mosca ad imperitura memoria della propria grandezza. Il personaggio, con smodata teatralita', con un gusto ipicamente russo per le dimensioni sovrumane, una passione mai frenata per le esecuzioni pubbliche e per sontuose orge di cibo ed alcol che invariabilmente terminavano con l'incoscienza di tutti i commensali, ha i tratti comuni alla maggior parte di coloro che, dal governo del paese, hanno piu' drammaticamente modellato la storia nazionale: uno Stalin cinquecentesco insomma.
 
La Kazan di oggi, capitale dell'irrequieta repubblica del Tatarstan, si sviluppa lungo il largo Volga, che il bellissimo cremlino patrimonio dell'umanita' UNESCO domina dall'alto di una collina. All'interno delle mura si fronteggia la storia della Russia: da un lato una splendida moschea, enorme nei suoi minareti bianchi e cupole azzurre, simbolo della piu' alta latitudine raggiunta dalla diffusione dell'islam; dall'altro la cattedrale ortodossa dell'annunciazione, anch'essa sormontata da brillanti cupole azzurre e dorate.
In mezzo la torre Syuyumbike, che prende il nome dalla pricipessa tatara che qui si suicido' invece di accettare di sposare il buon Ivan dopo la sconfitta dei tatari. Il caro zar aveva una tale passione per il collezionismo di mogli che, al quarto matrimonio, si vide negare l'accesso a qualsiasi suolo sacro dall'irato partiarca, alche' decise di sposarsi ancora un paio di volte, e costruire una grata nel muro condiviso dal suo palazzo e dalla cattedrale nel cremlino di Mosca, per poter comunque assistere alla messa.
Costante degli autocrati russi: impongono la loro autorita' assoluta e lunatica su chiunque, ma mantengono un timor divino nel privato, unica autorita' che li possa spaventare, con la forza della superstizione; cosi' Stalin officio' di nascosto messa all'avvicinarsi delle armate di Hitler a Mosca, proprio nella cattedrale del cremlino che egli stesso aveva sconsacrato.
 
La Kazan moderna, tra le poche citta' russe in questa regione risparmiate dalla guerra, mantiene un'affascinante melange di atmosfere russe, asburgiche e centroasiatiche, sia nell'architetturasia nei volti della gente, ed il mercato centrale e' ricolmo di frutta secca e noci, panna acida e ayran, carne di agnello e teste di maiale, pane nero russo e lavash caucasico.
Kazan e' una citta' giovane e vitale, con un'universita' che ha educato alcune delle piu' importanti figure intellettuali del paese, da Lobacevski a Lenin, che ha qui per se' l'unica statua che lo ritrae giovane, in procinto di entrare in quell'edificio dal quale verra' espulso per attivita' rivoluzionarie.
 
E poi l'ultimo tratto prima della meta, la notte di treno mi fa risvegliare a Mosca, romantica e scorbutica, elegante e opprimente capitale della Russia.

Mosca e' opprimente, grigia, cupa, scorbutica; mosca e' anche bizzarra, sorprendente, barocca, attraente. Con le cupole delle chiese, dorate e splendenti nei colori brillanti che tanto piacciono all'architettura russa, e' la cartolina di un megalomane, la fantasia fiabesca di un sognatore unita agli incubi di un autocrate pazzo.
I moscoviti riflettono lunatici la loro citta', burocratici, rudi, autocommiseranti, e allo stesso tempo gioviali a vampate, bonari.
Mosca e' l'anima della Russia, ma non riesce a rappresentarla realmente, troppo incastonata tra i propri palazzi del potere e della cultura, troppo iltenta all'autocelebrazione: ai fatti, mosca e' tutto quello che la russia non e'.
La semplicita' e cordialita' della vita siberiana, la vitalita' travolgente dei popoli influenzati dall'oriente, od il raffinato edonismo dei pietroburghesi emergono solamente a sprazzi nel moscovita, e devono farsi strada attraverso una cortina di diffidenza costruita dal senso di vantata superiorita', che arriva al punto di richiedere la registrazione del soggiorno in capitale addirittura agli altri russi, che vengono multati da corrotti poliziotti, proprio come gli ingenui turisti.
Mosca e' insieme la delicata e sfarzosa arte della cattedrale di san basilio, e il grattacielo in cemento armato stalinista orlato da aguzzi pinnacoli che gli donano un tetro aspetto da castello delle streghe, entrambi dominanti il lento corso della moscova.

Pietroburgo e' tutto quello che Mosca non e'. Come la capitale e' chiusa, burocratica, opprimente, cosi' la porta russa sull'europa e' spaziosa, elegante, rilassante. a pietroburgo riappaiono i grazie ed i buongiorno, i sorrisi, le auto che si fermano mentre attraversi sulle strisce: si respira un'aria piu' libera, senza dover avere paura di opportuniste forze dell'ordine. Il vento scende dai mari artici increspando le acque del Ladoga, piu' grande lago d'Europa, e si incanala lungo i boulevard pietroburghesi, spazzando l'aria stantia e lo smog, e donando alla citta' un'atmosfera comune a stoccolma o copenhagen.
Pietroburgo apre la sua arte a tutti, cosi' come Mosca la custodisce gelosamente per se': qui gli studenti entrano gratis nei musei, ed i palazzi e le chiese si superano in magnificenza le une con le altre, a Mosca le perle piu' importanti sono racchiuse da cinte murarie e si sperdono nella grandezza dei viali cittadini e tra i palazzi del potere o del popolo.
Mosca ti cerca di schiacciare con la sua storia e cultura, Petroburgo te ne rende partecipe: nessuna sorpresa che la scelta cada invariabilmente sulla aristocratica regina del baltico.
Pietro il grande studia ad Amsterdam nel secolo d'oro della citta': impara l'olandese ed il tedesco, familiarizza con i mercanti della lega anseatica e del mare del nord, torna a casa e cerca il luogo piu' simile geograficaente alla capitale olandese: pero' quello che trova, quasi perfetto, alla foce della Neva, e' occupato dagli svedesi. Pietro li scaccia, e costruisce una delicata ed aristocratica citta' in bilico sui canali della foce del fiume, chiamandola Sankt Pitersburgh, con la pronuncia olandese e dal proprio santo patrono. La citta', sede di una delle piu' raffinate corti europee per tre secoli, e' la versione aristocratica della repubblicana e mercantile Amsterdam, ed in piu', come Stoccolma, e' bagnata dalla splendida ed avvolgente luce nordica, che arricchisce ciascuna delle poche grandi capitali che si trovano attorno ai 60 gradi nord di latitudine.
 
Capire la Russia, che e' insieme l'eredita' della Siberia, di Mosca, di Pietroburgo, e delle innumerevoli minoranze, richiede spopratutto la capacita' di capirne la cultura ed il pensiero: solo cosi' si puo' spiegare  il culto della personalita' che i russi riservano a coloro che al momento incarnano di piu' il loro spirito di nazione. Pushkin, colui che ha sempre raccolto l'idolatria dei propri connazionali, e che adesso sembra l'unico in grado di prendere il posto ufficiale riservato nell'ultimo secolo a Lenin, sia nei monumenti sia come simbolo della mentalita' di tutto il popolo; entrare nella sua casa museo sui canali del centro di pietroburgo vuol dire accedere ad una processione religiosa, aggregarsi al gruppo silenzioso che segue la guida attraverso le sale della casa, spiegando con voce sicura i minimi dettagli del museo/mausoleo, addirittura con emozione al momento di mostrarne la corrispondenza od il calco in gesso del viso fatto al momento della morte del poeta; quasi ricorda Lenin nel suo mausoleo, ma forse questa adesso suonerebbe come una bestemmia all'orecchio russo.
 
L'animo del paese si puo' comprendere attraverso le parole che la sua cultura e' arrivata a creare: il russo non puo' fare a meno del sobornost, lo stare insieme, quello che gli permette di sentirsi difeso da qualunque minaccia ambientale o politica che sia. Nella sua giornata il suo pensiero esplode in parole, riversandosi su chiunque possa trovarsi nel proprio campo d'azione, per cercare confronto intellettuale: in russo si chiama umilenje, ed ha portato milioni di russi a costruire ferrovie o miniere indossando una camicia in Siberia. Ma d'altronde per i russi non e' la liberta' che conta, ma la volja, ovvero la liberta' incondizionata da leggi, assoluta, quella che porto' i decabristi a rimanere in Siberia dopo la concezione della grazia da parte dell'imperatore, in quanto solo la' potevano davvero sentirsi liberi. E questa rassegnazione alla sofferenza, all'oppresiione, alla durezza della vita si sintetizza nella toska, quell'insieme di noia, inerzia e malinconia che e' forse la caratteristica piu' evidente nei russi a vederli dall'esterno. Ma la loro vita e' scandita dal sudjba, il fato, caso e fortuna, per cui non sono portati a farsi schiacciare moralmente dalle avversita', ma le affrontano con estremo fatalismo, cosi' come con fatalismo evitano di lasciarsi travolgere dalla gioia: questo e' il terpenje, la rassegnazione.
Vi e' poi una parola che racchiude tutto questo, ed in piu' il rodina: dusha, che un dizionario tradurrebbe come anima, ma che in effetti ha un'accezione lontanissima da quella cristiana, tendendo ad indicare piu' nello specifico tutti i tratti denotativi della mentalita' del paese e dei suoi abitanti, la chiave insomma alla comprensione del pensiero russo.

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