Mar 18, 2008

Manifestazioni tibetane a Dharamshala





















Una vetrina cosi importante non l'avevano forse mai avuta dal 1959, anno della conquista ed annessione alla Cina popolare.
E pur sapendo di essere destinati alla sconfitta ed al massacro, i tibetani hanno colto l'ultima finestra d'opportunita' prima che Pechino chiudesse la regione al mondo per far sentire la propria voce, la propria voglia d'indipendenza e di poter vivere in condizioni umane, non da servi nella propria terra.
E forse hanno scatenato quella che potrebbe essere la miccia del cambiamento in Cina: insieme ai tibetani esiliati, che non hanno mai visto la patria per la quale manifestano oggi per le strade di questa cittadina appollaiata tra i boschi delle pendici meridionali dell'Himalaya, marciano ragazzi e ragazze cinesi, che con curiosita' e deferenza avvicinano i monaci che parlano la loro lingua per chiedere spiegazioni su cio' che gli viene tenuto nascosto, sulla voglia di dignita' di questa popolazione con cui dividono lo stato.
E gli viene risposto sempre con cortesia ed attenzione, perche' il nemico non e' la massa dei cinesi, ma e' il sistema voluto ancora da Mao, e che come un vecchio nonno dal cuore indurito tiranneggia su una popolazione che ha voglia di novita', verita' e liberta', indipendentemente dall'etnia d'appartenenza.
Non mi stupirei se la torrida estate olimpica venisse ulteriormente riscaldata dall'esplosione di questa voglia di cambiamento, non solo per il Tibet ma anche per lo Xinjiang musulmano e per tutti i giovani che sognano un futuro piu' giusto per il proprio paese.

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